Né laurea, né licenza media sono necessarie o sufficienti per fare bene il ministro.

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“Una bracciante che diventa Ministra dell’Agricoltura non è solo una bella storia, è soprattutto una grande lezione ed un esempio da curare come il più prezioso dei doni.”
Così Guglielmo Epifani, in una nota da condividere dalla prima all’ultima parola!
Epifani fa bene (come altri, del resto) a rimarcare la sciocchezza del “modesto” titolo di studio del ministro Bellanova, contrapponendo a questa “modestia”, però, non un niente, ma una quarantennale esperienza, di lavoro, di sindacato, di Parlamento.

Sarebbe bene dire, inoltre, che studiare non è certo una “diminutio”, una cosa di cui vergognarsi; lauree spesso raggiunte al prezzo di sacrifici e di impegno e dedizione; con acquisizione di conoscenze e competenze che altri non hanno. Operai laureati; persone con licenza media ai vertici di sindacati ed istituzioni: ci sta tutto. Spocchia e snobismo di quelli che, in tanti in questi giorni, quasi come un titolo di merito, stanno scrivendo e affermando: io non sono laureato, ho studiato “nella vita”, sono laureato in “marciapiedologia” e via dicendo, sono da criticare con altrettanta convinzione. Chi non ha studiato perché non ha potuto, per tanti motivi di necessità, e che raggiunge importanti traguardi nella vita, va apprezzato ed elogiato ed ammirato (aggiungendo, magari, “purtroppo non è riuscito a studiare”); ma allo stesso tempo va apprezzato, elogiato, ammirato chi invece raggiunge elevati livelli di studio. Perché anche lo studio, come (non) tutti sanno, è impegno, sacrificio, dedizione, fatica, rinuncia.

Infine, se per anni si porta avanti, anche dalla parte politica (renziana) del ministro Bellanova, il concetto del tutto antidemocratico di “meritocrazia” e di “eccellenza”, per cui si spingono i nostri ragazzi ad andare a studiare nelle “migliori” università, addirittura all’estero, “facendosi il …” , senza muovere un dito per consentire a tutti di studiare e per cercare di colmare il gap tra varie scuole, tra vari Atenei, del Sud e del Nord, anzi, lavorando per allargare in maniera “oscena” questo gap (ultimo esempio, le eversive richieste di secessione dei ricchi da parte di Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna), non ci si può improvvisamente lamentare che si chieda “merito” e competenze anche a ministri e parlamentari. Il punto è che costruire un sistema del sapere e della selezione della classe dirigente elitario, in mancanza di lotta di classe, come scrive Rosa Fioravante, fa crescere l’invidia sociale. In Italia dovrebbe esserci un’università inclusiva, gratuita, accessibile, con più finanziamenti a disposizione, contro l’idea del merito di pochi e … al diavolo tutti gli altri! Ma chi ha fatto propaganda per quel sistema, chi lo ha messo in cima alla sua “vision”, non può lamentarsi di essere vittima dell’idea che in Italia esista sempre un doppio binario: la concorrenza e la meritocrazia senza se e senza ma per le persone comuni, e invece privilegi per pochi ben “individuati”. Bisognerebbe combattere per un sistema nel quale il finanziamento pubblico consenta partiti politici che fanno formazione politica, e Fondazioni o similia che creino incontro permanente tra intelligenza e politica, tra sapere e potere, ma chi è a favore dell’abolizione del finanziamento pubblico e a favore della lotta di tutti contro tutti per l’istruzione, è ancora la Fioravante che scrive, deve rendersi conto che, a forza di dire alla gente che “devi diventare un’eccellenza oppure non vali niente”, ovviamente la gente pretende che la classe dirigente rispetti le medesime regole che essa stessa impone a tutti gli altri. Quelle regole sono sbagliate, questo governo contribuirà (?) a cambiarle.