In Italia ci sono circa 16 milioni di persone in età lavorativa senza occupazione e purtroppo la gran parte di loro non cerca e non vuole lavorare. Un fenomeno che sta prendendo sempre più piede – pensiamo alle donne che hanno incontrato grandi difficoltà a causa della pandemia – problema scottante e poco dibattuto che andrebbe approfondito maggiormente.
In questa sede però vogliamo occuparci della restante parte e che, se è possibile, deve farci preoccupare ancora di più, perché si tratta di circa 5 milioni di persone che possiamo suddividere in tre gruppi:
- esperti, che già hanno lavorato in precedenza
- inesperti, che non hanno mai lavorato
- scoraggiati, vorrebbero ma non cercano neanche più
Dall’altra parte ci sono le aziende che avrebbero un gran bisogno di assumere – si parla di una richiesta di oltre 2 milioni di posti di lavoro – ma che non trovano le giuste competenze sul mercato del lavoro.
Perché c’è questo mismatch tra domanda e offerta che rallenta la ripresa economica italiana? I motivi sono tanti e ognuno probabilmente “legge” il fenomeno in base al proprio punto di vista: imprenditore, professionista, dipendente, studente, disoccupato. Ma la domanda fondamentale è un’altra:
è possibile nel breve periodo annullare questo mismatch e far incontrare domanda e offerta di lavoro?
Su questo sono abbastanza netto: NO! Nell’immediato non è possibile.
Ma non dobbiamo arrenderci. Oggi infatti possiamo creare le condizioni affinché in 3/5 anni questo dislivello possa essere attenuato, in modo tale che il sistema-paese possa affrontare con vigore la transizione ambientale e digitale in corso.
Nel concreto alcune misure su cui suggerisco di riflettere:
- investire fortemente sulle digital soft skill e le competenze trasversali: i ragazzi/studenti devono sapere che ogni 5 anni cambieranno lavoro e dovranno imparare, anche ex novo, continuamente nuove cose. Allo stesso modo chi esce dal mercato del lavoro può e deve ricevere gli strumenti per rientrare dalla porta principale
- rendere più flessibile l’entrata e l’uscita dal mondo del lavoro: no, non è precariato e sarebbe una misura che andrebbe a favore dei lavoratori, perché oggi è la forza lavoro competente a scegliere le aziende e non viceversa
- detassare, ma veramente, il lavoro utile e sostenibile: non è possibile che un’azienda a impatto zero sull’ambiente investendo nella ricerca, paghi le stesse tasse di un’industria che fonde a carbone