La Corte Costituzionale ha fatto sapere di aver preso una decisione sui ricorsi per via principale di 4 regioni avverso la legge Calderoli sull’autonomia differenziata: il risultato, in soldoni, è una sonora bocciatura delle pretese leghiste e nordiste!
Più precisamente, la Corte rigetta i ricorsi avverso l’intera legge (questo, l’unico motivo di “esultanza”, forzata e a denti stretti, di Calderoli, Zaia e sodàli), ma rileva alcune, pesanti carenze nella legge, ravvisando ben sette profili di incostituzionalità. Bisognerà aspettare qualche settimana per il deposito della sentenza, con tutte le motivazioni, le indicazioni precise di articoli e commi che “non vanno bene”. Ma si può dire fin d’ora che, come molti “sapevano”, la Corte ha operato a difesa della Costituzione; indicando la corretta interpretazione costituzionale (“modo costituzionalmente orientato”), ha rigettato le pretese di far decidere tutto al governo attraverso semplici Dpcm, riportando tutto nelle mani del Parlamento. Che è sempre stata una richiesta precisa, ed un motivo di ricorso, di quanti avversano l’autonomia differenziata, l’oscena secessione dei ricchi. La Corte insiste sul principio di sussidiarietà, cioè l’effettivo vantaggio nel far svolgere una funzione alla Regione invece che allo Stato. Infine, la Corte “picchia duro” sui Lep: non possono essere definiti dal governo; inoltre, i trasferimenti per materie non-Lep non possono riguardare funzioni concernenti diritti civili e sociali; ma, soprattutto, l’individuazione delle risorse da trasferire non può avvenire sulla base della cosiddetta spesa storica, ma solo su costi e fabbisogni standard, e assicurando la quantità di risorse necessarie comunque allo Stato, nonostante la devoluzione. La fretta di Cassese nel chiudere la faccenda Lep; la fretta di Calderoli nel chiudere gli accordi con le regioni su materie non-Lep, non serve a niente, e va .. rifatto tutto da capo. La Costituzione è bene che la ripassino Salvini e Meloni.
Nel merito, è bene elencare, sintetizzando l’asciutto e denso documento diramato dall’Ufficio Stampa della Corte, le principali criticità rilevate, che toccano aspetti centrali della legge, che sono completamente smantellati o pesantemente ridimensionati. In particolare, la Corte ritiene incostituzionali i seguenti aspetti:
1-La possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge trasferiscano da Stato a Regione intere materie; la Corte ritiene invece che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, in base al principio di sussidiarietà, e cioè da una “dimostrazione” di maggiore efficienza se la funzione dovesse passare alla Regione.
2-Il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei Lep, concernenti i diritti civili e sociali, priva di idonei criteri direttivi, per cui in sostanza la decisione spetta al governo, limitando il ruolo del Parlamento.
3-La previsione che sia un Dpcm a determinare l’aggiornamento dei Lep.
4-La determinazione dei Lep con Dpcm sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi per definire i Lep.
5-La possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito erariale, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse per svolgere le funzioni trasferite – non fossero in grado di assicurare quelle funzioni stesse.
6-Il non prevedere obbligatoriamente da parte di TUTTE le regioni, la partecipazione al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, con un indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica.
7-L’estensione di alcune norme, e quindi dell’art. 116 Cost., alle regioni a statuto speciale, che invece devono seguire altre strade per maggiori forme di autonomia.
La Corte ribadisce i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini. L’autonomia differenziata, secondo la Corte, se attuata, deve migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, nei confronti di tutti i cittadini, non deve servire ad una lotta di potere tra diversi segmenti del sistema politico.
Infine, che succede ora al referendum? Dopo questa “sentenza”, la Cassazione potrebbe ritenere superati i quesiti referendari, alla luce della necessità, da parte del Parlamento, di riscrivere la legge.
In conclusione, penso che possiamo ritenerci moderatamente soddisfatti; alcune nostre richieste, di principio e di forma, sono state accolte. E’ stato premiato l’impegno (grande o piccolo) di tanti di noi, è cresciuta e si è diffusa l’informazione su questo obbrobrio; l’opposizione a questa oscena secessione dei ricchi ha coinvolto accademici, intellettuali, costituzionalisti, economisti, stampa e social media, movimenti, sindacati, partiti politici nazionali, di enorme importanza e dimensione, con mobilitazioni popolari spettacolari, e puntuale azione in Parlamento di deputati e senatori dell’opposizione tutta.
Ritengo doveroso sottolineare, però, come ricordano alcuni, ad es. Salvatore Lucchese, meridionalista e direttore del magazine VesuvianoNews, che la soddisfazione non deve far dimenticare che obiettivo principale, da non abbandonare mai, è la risoluzione della questione meridionale: la questione meridionale, anche nei programmi e nelle conseguenti azioni, in Parlamento, nel Paese, nelle piazze, di partiti e sindacati, di associazioni e movimenti, deve tornare ad essere questione nazionale; l’eliminazione o quantomeno l’avvio di una riduzione significativa del gap, economico, occupazionale, di welfare, di infrastrutture, ahimé pesantemente esistente tra Sud e Nord, deve essere obiettivo primario, per lo sviluppo non solo del Sud, ma del Paese tutto. Solo se si muove il Sud, il Nord si muoverà. Il Sud diventi davvero seconda locomotiva per lo sviluppo dell’Italia, non solo a parole, come sta facendo il governo di centro-destra, con tutti i corifei di media compiacenti, che non smette di sottolineare propagandisticamente i progressi e i presunti vantaggi e attenzione riservati al Mezzogiorno, governo che di contro, nei fatti, è uno dei più antimeridionali della storia (scippi di miliardi di euro di finanziamenti già stabiliti; gioco delle tre carte con i Lep asili-nido, che vengono negati dopo che sono stati stabiliti; secessione dei ricchi e quant’altro)
Infine, se qualcuno esulta perché “l’autonomia differenziata è in Costituzione, e si può/deve attuare”, è chiaro che adesso, come in molti giochi da tavolo, si torna alla casella di partenza. Il Parlamento deve rimettere mano alla legge, e questo, oltre ad allungare i tempi, può essere un altro ostacolo per i pasdaràn dell’autonomia a tutti i costi. L’iter parlamentare non sarà “un pranzo di gala”: le resistenze dei presidenti di regione del Sud di Forza Italia come Occhiuto, e del partito Forza Italia tutto, pur ipotizzando che alla fine saranno vinte, potrebbero portare ad una riscrittura della legge (sempre da bocciare e combattere: se necessario, raccoglieremo ancora milioni di firme per abrogarla), ma che potrebbe essere un po’ meno pericolosa e dannosa, al di là delle sole modifiche che “chiede” la Corte Costituzionale, ma arrivando a introdurre correttivi che, seppur non di rango costituzionale, cerchino di tener conto dei concetti della LIP Villone. Dal ruolo del Parlamento, ai Livelli Uniformi delle Prestazioni, a prevedere in qualche modo che materie come Istruzione, Sanità, Energia, Trasporti, Infrastrutture (autostrade, ferrovie, porti, aeroporti), Welfare, e tante altre, non siano ricomprese tra le materie le cui funzioni possano essere devolute alle Regioni.
Per concludere, una significativa nota polemica: Roberto Occhiuto, come si diceva oppositore sia pur timido della Calderoli e dell’autonomia differenziata in generale, non ha “resistito” e ha “tweettato”: “Avevo suggerito al governo un surplus di riflessione e una moratoria sull’autonomia differenziata. Oggi la moratoria, con molta più autorevolezza del sottoscritto, la impone la Corte Costituzionale”.