Un tempo la militanza politica era vista come un pregio, un motivo di orgoglio e l’approdo nelle aule parlamentari come il culmine di una carriera spesso cominciata in giovanissima età e soprattutto la militanza era un qualcosa che durava tutta la vita.
Oggi no è tutto radicalmente cambiato e il progressivo disimpegno di tanti, non è altro che il termometro di come la politica e le istituzioni siano gravemente malate.
La politica italiana registra infatti negli ultimi anni con sempre maggiore intensità l’addio di parlamentari, che spesso ancora nel fiore della propria carriera, decidono di abbandonare il proprio seggio.
Certo si tratta di un numero sempre limitato, ma indice della diversa percezione dell’impegno politico nella società attuale e del modo in cui questo viene vissuto.
Gli ultimi esempi, in ordine di tempo sono stati quelli di Pier Carlo Padoan, Marco Minniti e Maurizio Martina, tutti e tre ex ministri e che sicuramente potevano essere considerati dei profili spendibili in ruoli di governo, la cui carriera non poteva certo dirsi conclusa.
Senza contare un “peso massimo “come Matteo Renzi, che ancora in carica come Senatore di fatto si sta già dedicando ad attività proprie più di un ex politico fuori dai giochi mettendo a frutto le sue conoscenze maturate durante la permanenza a Palazzo Chigi.
O ancora ex leader come Francesco Rutelli o Walter Veltroni che giunti al crepuscolo del loro impegno, anziché cercare con ogni forza di restare aggrappati anche ad incarichi minori, ogni riferimento a Ciriaco De Mita, non è casuale, hanno scelto di cominciare una nuova vita professionale.
Ma cosa spinge chi è in parlamento o vi è stato per anni e che teoricamente dispone di un grande potere e può incidere nella vita del paese a compiere una scelta così radicale?
Scelta che prevede un distacco totale dal vecchio mondo, che viene però vissuto con molta serenità dal diretto interessato, che anzi si adopera essendo ancora in carica per trovare una via d’uscita dal parlamento.
Laddove nella tanto vituperata “prima repubblica “tutto ciò avveniva al termine dell’esperienza politica o nell’approssimarsi della sua conclusione, poiché si cercava in tutti i modi di prolungare la propria permanenza nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama.
Un tempo infatti l’eventuale sistemazione post politica era considerata come una soluzione di ripiego, meglio come una sorta di paracadute da attivare se si perdeva il proprio seggio, mentre gli ultimi eventi segnalano come il periodo trascorso nelle istituzioni sia quasi un primo passo da fare per accedere ad incarichi ben più prestigiosi.
In ogni caso, appunto non appena si presenta l’opportunità in sempre maggior numero, non esitano ad abbandonare le aule parlamentari, per cominciare una nuova carriera e perché no una nuova vita.
La politica è forse uno strumento per trovare una sistemazione migliore? per raccogliere il giusto compenso dopo anni di dura lotta, spesso senza esclusione di colpi? Può valere per alcuni e in ogni caso ha una valenza relativa, perché ognuno per fare una scelta così drastica ha le sue motivazioni; di sicuro il declino della politica è indiscutibile, così come la passione che un tempo l’accompagnava.
Nell’era post ideologica, in cui i partiti e le loro strutture sono ormai scomparsi, il livello della classe politica è purtroppo calato, con protagonisti sempre meno brillanti, sostenuti da regole del “gioco” del tutto inaccettabili.
Regole che non favoriscono il rapporto con gli elettori e che non stimolano i candidati una volta eletti a dare conto del proprio operato agli elettori come accadeva sempre con il proporzionale ma con le preferenze o con il mai troppo rimpianto “Mattarellum” che aveva introdotto i collegi uninominali.
Come dimenticare infatti che ogni legge elettorale dal 2006 ad oggi ha sempre previsto liste bloccate, ovvero con la possibilità per l’elettore di votare solo la lista e con l’elezione dei candidati sulla scorta della posizione in lista: i candidati sono quindi decisi all’interno delle segreterie dei partiti.
Ne deriva che gli eletti, hanno capacità minori e risultano del tutto inadeguati all’impegno cui sono chiamati e anche quando sono animati da “nobili intenzioni”, arrivati in parlamento si rendono conto di poter incidere poco o nulla.
Troppo spesso il parlamentare smarrisce ogni entusiasmo e comprende di non poter incidere alcunché e quindi naturale che si senta autorizzato a pensare ad alternative al di fuori dei palazzi del potere, anche in corso di mandato.
È infatti perfettamente cosciente che il suo destino politico, non dipende dal suo lavoro e dal suo impegno, ma dalle decisioni di un leader; lo stesso che ironia della sorte alla precedente tornata lo aveva imposto contro tutto e tutti.
Ritiene di conseguenza del tutto naturale, rinunziare al mandato ricevuto, anche perché non ha più un elettorato di riferimento, cui rispondere del suo operato e delle sue scelte, quindi anche delle dimissioni.
I partiti d’altro canto, non hanno alcuna incertezza ad agevolare il passaggio anche perché si tratta di sostituire un nominativo con altro presente subito dopo in lista, essendo venuto meno per altro ogni rapporto tra eletto e territorio.
Tanto più che la debolezza dei partiti è ormai conclamata e anch’essi sono sempre più spesso strutture basate sul carisma di una persona di cui non di rado portano il nome nel simbolo.
Certo, si dirà che non tutti i politici propendono per una scelta definitiva e cercano di dedicarsi ad altro al limite in attesa di tempi migliori e da questo aspetto come detto in precedenza Matteo Renzi è l’esempio più evidente; sia pur distratto da altri impegni e interessi, quali l’attività di lobby o di conferenziere, ad oggi non pensa minimamente ad eventuali dimissioni.
Che sia una fase della vita politica dell’ex “rottamatore “o il preludio ad una nuova vita non è dato saperlo al momento di sicuro è l’emblema di come la politica, rappresenti sempre più spesso il primo passo da fare per accedere ad incarichi di prestigio e remunerativi.
Di sicuro questo quadro rappresenta un mondo, sempre meno rappresentativo e prestigioso, da cui tutto sommato fuggire non appena se ne presenti l’occasione.
Purtroppo la politica attuale è vista come un mondo poco pulita, in cui l’esigenza di servizio a favore della comunità non è più avvertito, come un bene essenziale, ragion per cui la passione nei suoi attori sta svanendo inesorabilmente.
Senza dimenticare che la politica ormai si fa fuori dalle aule del Parlamento, basti pensare che il precedente Premier Giuseppe Conte e quello in carica Mario Draghi, non sono né deputati né senatori e la medesima cosa si può dire per nuovo segretario del PD Enrico Letta.
Tutti esempi di come ormai, si avverta sempre una minore esigenza per farla di trovare una legittimazione dall’elezione in Parlamento, ma si ritenga del tutto naturale restare al di fuori anzi quasi come una certificazione delle proprie capacità.
Solo se le istituzioni sapranno ritrovare una nuova vitalità e costruire delle prospettive, potranno tornare ad essere il simbolo della democrazia, in mancanza la fuga dal parlamento diventerà un esodo, con inevitabili conseguenze per la tenuta democratica.