(Questo articolo, in forma rimaneggiata e sintetica, è già apparso sulle pagine de Il Riformista-Napoli, il 9 gennaio 2021)
Sul tema “riapertura delle scuole”, in questo drammatico frangente di epidemia, ciascuno dice la sua: epidemiologi, immunologi, virologi, politici, addetti ai lavori (dirigenti scolastici, studenti, insegnanti) hanno opinioni sono contrastanti, a volte di 180 gradi!
“Con l’apertura delle scuole studi scientifici dimostrano che il contagio è salito, si è abbassata l’età dei contagiati”, ecc …. ; “Le scuole sono sicure, non ci sono evidenze di focolai, solo qualche contagio, come in tutti i luoghi, ma nessun pericolo maggiore: riapriamo gli impianti sciistici, e non le scuole?”.
(cfr., solo ad esempio, l’intervista su Repubblica a Giovanni Sebastiani “Il matematico Sebastiani: La riapertura delle scuole sarebbe un errore, l’impennata è certa. ”; oppure, sempre su Repubblica, l’intervista ad Antonella Viola: “L’immunologa: Rinviare l’apertura non serve, le classi sono sicure.”; dal lato pedagogico-sociale vari interventi di Chiara Saraceno; ecc …)
La “riapertura” delle scuole (in maniera potenzialmente definitiva, a meno di eventi drammatici certo non auspicabili) a mio avviso è uno dei principali temi sui quali si misura la “solidità” e “capacità” di un Paese, e ovviamente si giudica l’operato di un governo, meglio, di una classe dirigente. E che dovrebbe essere AL CENTRO dell’attenzione di ministri, politici, esperti, intellettuali, opinionisti, addetti ai lavori. Convengo (e l’ho dichiarato in varie sedi, anche in discussioni in organismi universitari della Federico II tecnicamente preposti a discutere/decidere sulle attività didattiche) che bisogna fare ogni sforzo per ripristinare (o avvicinarsi il più possibile ad) un “normale” svolgimento di tutte le attività in presenza. E quindi la parola d’ordine “riaprire le scuole” (e gli Atenei) mi vede in linea di principio totalmente d’accordo. A patto che tale riapertura sia voluta, e preparata, progettata, seguita, messa in atto, in condizioni di totale (per quanto possibile!) sicurezza per la salute di docenti, studenti, personale tutto.
Ed è chiaro che a questo riguardo non si può non parlare della politica adottata negli ultimi anni, da almeno venti anni, per non andare troppo indietro nel tempo. Blocco del turn-over, taglio dei finanziamenti (che la dice lunga sulla importanza che da noi si dà ad un settore vitale per lo sviluppo economico, sociale, occupazionale, ecc .., del Paese; specie se messo a confronto con quanto si fa nella maggior parte dei paesi europei!); assenza di immissioni di nuovo personale .. da anni; precari e tappabuchi, dell’ordine di centinaia di migliaia, ogni anno, da molti anni a questa parte; edilizia scolastica … inesistente; manutenzione di edifici vecchi e pericolosi … inesistente o quasi; mancata eliminazione delle cosiddette classi pollaio (quelle con un numero elevato di studenti!), quando tutti i pedagogisti ed esperti concordano sul numero massimo di 12-15 studenti per classe, per ottenere un risultato ottimale dal punto di vista didattico, e di come sia evidente la necessità di aumentare “lo spazio fisico” destinato a ciascuno studente in un’aula, eliminazione sempre promessa e mai mantenuta; di questi tempi, aver perseguito questi obiettivi avrebbe dato tra l’altro un aiuto enorme alla gestione della pandemia nelle scuole!
Quindi questi gli obiettivi, da dichiarare primari, che il governo deve almeno enunciare e cominciare a mettere in atto senza indugio. Riaprire le scuole solo quando tutto ciò sarà risolto? Sarebbe stupido affermarlo e richiederlo, ma tuttavia è bene e necessario che il governo, qualunque governo, indichi con convinzione questi obiettivi, con atti politici e normativi da mettere in pratica da subito!
Ad ogni modo, anche in questi giorni, da parte di governo e Regioni, si parla di presenza al 50%, che può significare ad esempio metà classe in aula, metà a distanza, e la settimana dopo, magari, scambiarsi “le sedi”, con i docenti sempre presenti (ma in collegamento con gli studenti a casa). Bene, al di là del fatto che questo è difficile (l’ho provato di persona, sia pure a livello universitario, con ragazzi (un poco) più maturi e capaci di organizzarsi), infatti la lezione orientata ai presenti NON va bene per quelli a casa; e ovviamente una lezione “pensata” e gestita per gli studenti a casa, risulta meno efficace per i presenti; a parte questo, dicevo, bisogna affrontare e risolvere ben altri problemi.
E’ necessario ad esempio accertarsi e far sì che NELLA scuola si ottenga un adeguato livello di sicurezza:
– rendere obbligatorio l’uso delle mascherine, da parte di studenti e docenti, per TUTTA la durata delle lezioni, in classe e fuori, ovviamente fornendo giornalmente a tutti i dispositivi di protezione necessari, a cominciare dalle mascherine FFP2;
– mettersi in condizione di poter “testare” e tracciare docenti e studenti OGNI giorno (accordo e sinergia con strutture sanitarie territoriali/regionali);
– in presenza di classi numerose e di ambienti piccoli, organizzare un orario adeguato, dividendo le classi in 2 o più gruppi di 12-15 studenti;
– e quindi ottenere, per ora deve essere così, un congruo numero di “supplenti” o “precari” che siano, in sovrannumero, per svolgere il carico didattico che i docenti strutturati NON sono in grado di espletare. In attesa dei concorsi, che pure si possono programmare e far partire, per centinaia di migliaia di “posti”;
– attrezzare in breve tempo strutture adatte all’accoglimento di classi di studenti; prevedere una ricognizione di eventuali spazi inutilizzati, anche di altre scuole e università, per sfruttarli al massimo.
Bisogna rendere operativo tutto ciò.
E ancora. Tutto questo (che si può ottenere in tempi relativamente brevi ma non brevissimi: ma ci si poteva pensare da marzo 2020, non ridursi al 3 gennaio per decidere cosa/come fare … il 7 gennaio!) ovviamente non basta.
E’ palese che per lo meno per le scuole secondarie di secondo grado, per una riapertura in sicurezza, i trasporti siano un ostacolo enorme. Anche in questo caso, davvero, centinaia di persone di buon senso, hanno pensato e chiesto ufficialmente: stipulare convenzioni con ditte di trasporto turistico, impegnando le decine di migliaia di autobus che sono fermi da mesi al trasporto scolastico, con un duplice risultato: (avviare a) risolvere il problema trasporti per studenti e docenti, da un alto; dall’altro, alleviare lo stato di inattività delle ditte e dei loro dipendenti. Anche questo è venuto in testa a molti … fin da marzo. Qualcuno ha provveduto ad attivarsi in questo senso? Non sembra.
Questo si può fare in (relativamente) poco tempo, impegnando i prefetti, i dirigenti scolastici, le ditte di bus turistici, con un impulso ed una regia nazionali dei ministeri interessati. I tavoli provinciali e regionali hanno cominciato a parlare anche di questo?
Se son se ne parla e non si avviano a soluzione tutte queste cose, la disputa “apertura si/apertura no” a mio avviso NON ha senso.
L’esclusione dei giovani, specie quelli più grandi (diamo per scontato che si faccia di tutto per far tornare in classe, con tutte le condizioni di cui dicevo prima, gli studenti della scuola primaria e della secondaria di primo grado), dalla fruizione in presenza di una attività didattica che è anche attività sociale, civile, pedagogica, è un lusso che non possiamo permetterci con leggerezza. Su questo versante, gli interventi di Chiara Saraceno e di altri pedagogisti sono illuminanti. Una proposta (discutibile, nel senso che se ne può discutere, approfondendo, comprendendo la sua fattibilità, i pro ed i contro) è quella di vaccinare per primi, subito dopo il personale medico e gli operatori sanitari, studenti e docenti e lavoratori della scuola. Una proposta “intelligente” e significativa, dal punto di vista politico (la scuola al primo posto), ma, forse, non del tutto risolutiva dal punto di vista sanitario: i vaccinati NON diventano improvvisamente sani, i vaccinati possono (sia pure in misura ridotta/meno virulenta) infettare a loro volta … Un provvedimento del genere, comunque, ad esempio una volta vaccinati tutti o quasi gli studenti ed i lavoratori di una scuola, di un quartiere, di una città, farebbe sì che non scoppino focolai di infezione ma tutt’al più casi isolati di contagio, all’interno delle scuole. Ecco, medici, epidemiologi, politici, addetti ai lavori (dirigenti scolastici, insegnanti, studenti, sindacati) potrebbero confrontarsi su questo tema.
Ma ci sono tante altre cose, non meno importanti, da risolvere: la questioni degli studenti con disabilità, ad esempio. Bisogna far in modo che tali studenti IMMEDIATAMENTE ritornino in presenza, e contemporaneamente, per evitare l’obbrobrio delle classi differenziate, fare sì che tornino in presenza insieme con tutti gli altri loro compagni di classe senza disabilità, per consentire loro una corretta e giusta interazione con tutti. Altro tema difficile, ma da affrontare. Con coraggio, ma soprattutto con la convinzione che così si debba fare!
Infine: durante questi mesi di DaD (didattica a distanza) o DID (didattica integrata digitale), come adesso si comincia a chiamare (ma sono 2 cose diverse), i docenti hanno lavorato, tanto. Che ci siano insegnanti più bravi o meno bravi, in genere ed in particolare nello sfruttare appieno ed in modo intelligente gli strumenti informatici per la didattica, è ovviamente un fatto naturale. Se si escludono pochi casi (che ci sono comunque, a distanza o in presenza) di “sfaticati” o “furbetti” (presenti peraltro in OGNI categoria di lavoratori e cittadini), tutti hanno fatto il loro dovere. Anche a “distanza”. Affermazioni del tipo: recuperiamo il tempo perduto andando a scuola a giugno e luglio, e/o le domeniche, mi sembra, davvero, offensivo. Tutti, insegnanti e studenti, hanno lavorato, sodo, parte in presenza, parte (la maggiore, forse) a casa, a distanza. Non sono stati in vacanza, né gli uni né gli altri.
Proprio in questi giorni molte Regioni (sarebbe tempo di ridiscuterne funzioni e/o esistenza, vista la pessima prova che stanno dando in questi drammatici frangenti, magari focalizzando il discorso sulle Province e Città Metropolitane, enti di prossimità più consoni ad amministrare/gestire territori medio-piccoli) stanno spostando in avanti la ripresa delle attività in presenza, specie per le secondarie di secondo grado. Stavolta non credo possa essere solo un aspetto, deleterio, della guerra Stato-Regioni, ma purtroppo il riconoscimento che qualcosa non va ancora per il verso giusto. E bisogna porvi rimedio.
Infine, l’istruzione sia davvero al centro dell’attenzione nazionale, e non diventi un terreno di scontro su cui far “passare” idee e politiche “punitive” e di stampo confindustriale, come hanno già cominciato a fare i soliti e ben individuati settori (cfr., ad esempio, l’intervento di Andrea Gavosto su La Repubblica “A scuola anche a luglio”); e si sfrutti la drammatica epidemia per avviare a soluzione gravi ed importanti problemi di cui da decenni soffre la nostra scuola, per centrare obiettivi, spesso annunciati, ma fin’ora mai raggiunti.