Nel 1970 nacquero effettivamente, con la elezione dei Consigli Regionali, per la prima volta, le Regioni. Cinquant’anni: un tempo sufficiente per trarne un bilancio. Nel pieno di una drammatica epidemia che ha mostrato tutti i loro limiti, carenze, errori, criticità in generale, vale la pena avere il coraggio di discuterne. Discuterne, sapendo che un ritorno ad uno stato fortemente centralizzato non è nell’ordine delle cose, ma che tuttavia bisogna ripensare profondamente al concetto di autonomia e di autonomie. Le tanto (a mio avviso ) traballanti regioni dovrebbero cedere il passo ad un rinnovato vigore delle Province e delle Città metropolitane, Enti di prossimità più consoni alla gestione amministrativa di territori medio-piccoli, senza i gigantismi di istituzioni che pretendono di “governare” su territori “enormi”.
Seguire i principi ispiratori fondamentali di perequazione e coesione degli articoli 117 e 119 della Costituzione; evitare una “differenziazione” letale, che affosserebbe i diritti di una parte di cittadini, concedendo privilegi eccessivi solo ad alcuni; denunciare, con forza, senza paura, che queste pulsioni vengono da destra e purtroppo anche da sinistra (le tre regioni più ricche, tutte del Nord, Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, che, prime, hanno avanzato richieste “eversive” ne sono una prova); respingere il concetto secondo il quale chi vive in territori più ricchi e paga più tasse, ha diritto a più cose. In tal modo, difatti, si minerebbero, addirittura stravolgerebbero, le basi costituzionali della Repubblica Italiana. “Vaste programme!”
E’ tempo di discuterne e di agire. Perché c’è un tempo per ogni cosa. Come ricorda il libro del Qoèlet, con il suo famossissimo e prezioso “insegnamento”. E prendendo spunto da questo “antico” concetto, invitando a partire dal tema Regioni, regionalismo differenziato, automomia, autonomie, efficienza della pubblica amministrazione, coesione nazionale, solidarietà, in giorni in cui dovremmo tutti essere propensi a riflettere in serenità, mi aspetto che tutti i nostri beneaugurali auspici di queste ore ci consentano di “prenderci” questo tempo, e si sostanzino nel suo valore sapienziale.