“Come andare da Napoli a L’Avana in soli cinquant’anni”, di Luigi De Chiara, può essere considerato un tentativo di riportare in Italia, a Napoli, tra di noi, il dibattito e la riflessione sulla esperienza di quel processo rivoluzionario che, partito da Cuba, con le armi, nel 1959, con alterne fortune si è poi sviluppato nel corso dei decenni, in molti paesi dell’America latina, affermandosi quasi sempre in maniera pacifica, attraverso più o meno libere elezioni …
La testimonianza di Luigi De Chiara è preziosa, perché di prima mano, di testimone oculare, che poi ne ha scritto con spirito agile e giornalistico, e non di saggista o politologo (non disdegnando certo questi, anzi): voglio sottolineare con questo la leggerezza, la facilità di lettura delle sue pagine, che pure, attraverso bozzetti, episodi personali, sensibilità e ironia uniche, parlano di temi così critici e complicati.
Non è tutt’oro quel che riluce, la rivoluzione cubana ed i successivi tentativi di politiche genericamente socialiste, di quel socialismo latino-americano particolarissimo, in tanti paesi del Centro e Sud-America.
E lo stesso autore sembra oscillare tra una evidente giustificata giovanile passione, ed un “desencanto” più maturo, anche se nel libro preferisce sottolineare maggiormente i pesanti, violenti, eversivi interventi degli Stati Uniti e delle potenti multinazionali (del petrolio in primis), e molto, molto meno, errori, violenze, durezza, intransigenza, retorica, corruzione anche, dei governi “popolari”.
La prima volta che io sentii parlare di Cuba fu a causa della notissima crisi dei missili del 1962. Ero davvero troppo piccolo, allora, per ricordare qualcosa, ma CREDO di ricordare almeno un clima di tensione e di paura, anche in casa. Solo dopo, leggendo, studiando, ho approfondito gli avvenienti. Se in un primo momento, da studente liceale, a 9-10 anni da quel periodo, chiedevo provocatoriamente perché un paese sovrano non avesse potuto installare dove voleva, sul proprio territorio, i missili che più gli piacevano, con gli anni e la conoscenza, mi sono reso conto (e fortunatamente in quel frangente se ne rese conto Nikita Sergeevič Chruščëv) che buon senso, rapporti internazionali, realpolitik, non potevano consentirlo. Sarebbe facile fare un paragone con la NATO in Ucraina e la Russia, ma non è questo il luogo, né il momento, per parlarne.
L’immagine di Cuba come meta di turismo sessuale (certo, non come in paesi asiatici, chessò, tipo Tailandia); o di Cuba priva di moltissimi generi anche di prima necessità (non se ne parla nel libro, ne ho letto in altre occasioni, ma Luigi potrà smentirmi, di drammatiche carenze nel sistema fognario, ad esempio); o ancora di Cuba che in definitiva (clamorose in questo senso le proteste popolari del 2021) non ha mantenuto le promesse dei mitici anni 60 e 70, anche e soprattutto a causa dello scellerato “bloqueo” imposto dagli Stati Uniti, più volte condannato anche dall’ONU; queste immagini di una Cuba non idilliaca, dicevo, emergono comunque dalle pagine del libro, attraverso, ad esempio, le parole di Rosa Maria, verso la fine …; pagine che in definitiva non cercano certo di nascondere un amore ancora vivo e appassionato da parte dell’autore per quelle esperienze …
La generazione del 68 è stata sconfitta, dice De Chiara: ma quale generazione? Quella che si era fatta attrarre dal terrorismo e metteva bombe? Quella che poi si è ritrovata a dirigere aziende private predatorie multinazionali? Quella che è venuta a patti con il potere, per cui molti giovani sessantottini hanno fatto carriera, diventando boiardi di stato, nazionali e locali, o hanno fatto carriera in politica, in tutti i partiti e/o movimenti, anche quelli conservatori o di destra?
Sono in conclusione d’accordo con inizio e fine del libro. Ecco (se allarghiamo di 4-5 anni in avanti l’appartenenza alla generazione del 68, in modo che possa farne parte pure io) a mio avviso c’è una generazione di giovani, allora, che ha mantenuto saldi, a differenza di tanti altri, i propri principi ed ideali, certo, aggiornandoli con il divenire del tempo. E come c’è questa generazione, in Italia e nel mondo, così ci sono ancora più giovani generazioni, e, soprattutto, popoli latino-americani, quello cubano in particolare, che con il loro coraggioso e tenace agire, pur con errori, limiti, indecisioni, piccoli “tradimenti”, costituiscono un punto di partenza, una speranza concreta di riscatto, di democrazia, di progresso, di benessere per tutti.
Ah, infine, caro Luigi De Chiara (non so di chi sia la disattenzione): l’Italia di Bearzot (vedi pag 49, cap. 5 Anni Ruggenti) ha battuto il Brasile 3 a 2!