Sarete d’accordo con me che l’ultima settimana prima di un voto referendario è, di norma, la più brutta possibile, tanto più se la campagna elettorale è già stata per pochi eletti e orribile di per sé. Credevate di avere di fronte un quesito referendario attorno a una disposizione costituzionale? Macché! Siete ingenui. In realtà tutti cercano di convincervi che, se votate Sì o No, qualunque dei due, in ogni caso farete danni pazzeschi, perché, intanto, vi sarete accompagnati con alcuni manigoldi che votano come voi, e poi sarete stati superficiali e minimali, perché state votando ingenuamente sul quesito proposto e invece qui, oggi, subito, irrimediabilmente, si giocano i destini del mondo e della sinistra in special modo. Altro che quesito. Il quesito non conta, è secondario, persino sopravvalutato. La Costituzione? Ma non muore mica se le diamo una leggerissima accettata, una bottarella tanticchia, che anzi forse le farà pure bene. Basta con questa idolatria!
Beh, potevate dircelo subito che della Costituzione ci importa il giusto, e che sono solo gli scenari del voto che ci interessano. È a questo punto che, di solito, parte la menata profetica, per la quale se voti No, allora succede questa, questa e quell’altra cosa, quasi sempre dannosissime alla sinistra, di cui tu sarai responsabile! Una specie di sicario, praticamente. Invidio, sia messo a verbale, il generico argomentatore politico che esercita soprattutto su facebook, per il quale da un evento anche piccolo (un No) parte una tale catena argomentativa, che Nostradamus ci fa un baffo (per non dire di peggio). Poi ti dicono: libertà di coscienza? E come? Se sono costretto a valutare duemila ipotesi prima di capire il danno che sto intraprendendo contro la collettività? Marx è già pronto a venirmi in sogno! Ma ve lo ricordate il povero Proietti in ‘Febbre da Cavallo’? Da un uovo sodo potrebbe persino scoppiare una guerra termonucleare!
Qual è il punto? Che le campagne elettorali sono il tremendo riflesso della cultura politica. Che se questa è attualmente povera, carente, allora esse si trasformano in una sceneggiata, con tutto il rispetto per le opinioni in gara. E deviano l’elettore dal seminato, invece di indirizzarlo consapevolmente a una scelta. Lo deviano dalla sua coscienza, per così dire. Lo inducono a ragionamenti fini che lo spaesano. Ecco, io sono un elettore più che normale, più che comune, che ha deciso di votare No in conseguenza della sua ormai pluridecennale e acquisita natura politica. Il “No” si accompagna molto bene al mio carattere di uomo di sinistra, che sceglie la partecipazione, la rappresentanza, la solidarietà, la prossimità, l’idea di una democrazia rappresentativa e di istituzioni democratiche che amplino l’abbraccio, non lo restringano.
Perché, vedete, se cresce nel Paese ormai da decenni una vena “esecutivista”, decisionista, da uomo solo, da vie brevi, e una “verticalizzazione” vertiginosa della catena politico-istituzionale, dove conta l’autorità e non la rappresentanza, ovvero la scelta compiuta nel Palazzo piuttosto che partecipata (do you remember Renzi?) questa non andrebbe nemmeno incidentalmente sostenuta, tanto meno sottovalutata o considerata momentaneamente il giusto. A me viene naturale pensare che, se si decide di tagliare i parlamentari, ciò debba avvenire all’interno di un progetto organico o quasi, non a rate successive, per cui se voti la prima non sai nemmeno in cosa consisterà la seconda tappa (della quale si sta forse decidendo a bocce in movimento). Democrazia è scegliere avendo dinanzi e presenti le alternative, non rinviandole pezzo pezzo a un incerto futuro. Nessuno sceglie quel che non c’è, non si discute in assenza reale di chance o compensazioni, la partecipazione politica non è a sanatoria!
Si dirà: cade il governo? E chi dovrebbe farlo cadere? Chi non ha i voti per farlo, la destra? Oppure Renzi che briga furbescamente e nel caso si assumerebbe una responsabilità tremenda dinanzi ai cittadini che sostengono per davvero, come mai da decenni, questo esecutivo? Se un governo cade è per due ragioni: 1) viene fatto cadere se gli mancano i voti; 2) oppure viene fatto cadere dall’interno, per una specie di ammutinamento. Ecco, secondo me, questa ipotesi è la più convincente, e l’intervista di Orlando di due giorni fa a me spaventa. C’è una voglia di rimpasto nella maggioranza che mette paura, c’è una voglia di mettere mano al gioiellino che non è nemmeno nascosta. Il PD è una pentola bollente e il gruzzolo europeo vale per tutti. Bonaccini, appositamente imbeccato, scalpita. Il Sì potrebbe persino agevolare il “rimpasto”, dare coraggio a chi vuole “cambiare” e allargare le basi del governo, mettendo così in gioco anche la segreteria del PD (ecco che faccio pure io profezie!).
E poi. Siccome nell’ondata di “governismo” di questi decenni, che il voto al Sì rafforza, c’è andata di lusso a trovarci in sella il Governo Conte II (più facile l’opposto), non crediate che andrà sempre così. Il governismo prima o poi porterà con sé anche un bel governone di destra camuffato da moderatismo oppure di destra-destra tout court. A quel punto ce lo terremo sapendo che i deputati sono diventati 600 e che nel Paese abbiamo persino allisciato il pelo alla crescente onda anti-parlamentare. Carnefici di noi stessi, quindi, e solo per aver messo da parte la nostra “natura” di sinistra, non aver detto le parole che avremmo dovuto dire (rappresentanza, partecipazione, empatia, prossimità istituzionale), soffermandoci invece su altre frasi o locuzioni meno naturali, tra cui “basta con l’idolatria costituzionale”, “il governo viene prima”, “la politica è potere”, “quello che conta è il comando”, tutta roba lessicale e sintattica da conservatori, da uomini di destra, altro che quelli del No.
In ultimo una sola osservazione sul “centralismo democratico” riesumato per l’occasione. Quella benedetta locuzione non voleva dire: il Capo decide per tutti. È così nelle falangi spartane o nelle bande di manigoldi. Nel PCI, tanto per fare nomi, il centralismo democratico era una discussione pubblica alto-basso e trasversale, che finiva in una mediazione finale che si estendeva a militanti e iscritti, non in un banale imperativo categorico. Se così fosse stato io dal PCI ne sarei uscito ben prima che me lo sciogliessero d’emblée. Lo so io quel che volle dire la scelta del “compromesso storico”, questa linea che Berlinguer lanciò ma di cui si discusse fino allo sfinimento, colorando in vari modi l’indicazione finale, intonandola sulla base delle specificità, delle culture, delle sensibilità. Tutti (o quasi) nel PCI seguivano la linea, ma si trattava di un coro non di una voce solista sovrapposta per un milione di volte. Quindi calma e gesso, sennò questa orribile campagna si guasta ancor di più e si finisce nella farsa.
Concludo dicendo che voterò No, come sapete. È il voto più vicino alla mia sensibilità, alla mia cultura e persino alla mia natura. Guai se non fosse così. Rispetto chi vota Sì a sinistra, ma io proprio non ce la farei a queste condizioni per tutte le ragioni che ho detto. Perdonate la mia terribile coerenza, che nella vita mi ha riservato sempre seconde e terze file e mai le prime (dove si ammassavano i saltatori di carro di tutte le stagioni). E meno male, e chiudo davvero, che questa campagna e questo referendum sono destinati a finire. Domani è un altro giorno e si vedrà (cit.).