Il periodo che stiamo vivendo è caratterizzato da due fenomeni a mio parere abbastanza evidenti. Di certo con l’avvento della società digitale si è aperto un nuovo spazio di comunicazione, reso possibile da un insieme di processi e strumenti tecnologici che permettono – almeno teoricamente – una maggiore partecipazione dei cittadini ai momenti decisionali dell’azione pubblica. Contemporaneamente stiamo assistendo a un evidente crisi della democrazia a causa – per dirla con parole semplici – della diffusa perdita di fiducia da parte dei cittadini elettori nella politica.
Da un lato quindi si aprono incredibili opportunità di partecipazione, si annullano le storiche barriere gerarchiche, si creano le condizioni per dar vita a una politica davvero trasparente, e dall’altro lato le persone tendono sempre più a disinteressarsi della cosa pubblica facendo schizzare alle stelle le percentuali di astensionismo. Ovviamente in tutto questo i partiti e le organizzazioni politiche non hanno capito come rivitalizzare il rapporto con la propria base, perché non riescono a capire le dinamiche sociali imposte dal digitale.
Obiettivo non più rimandabile è quindi quello di risvegliare la debole fiammella della partecipazione politica con la consapevolezza che il mondo è cambiato e che le regole che valevano anche solo vent’anni fa oggi sono totalmente obsolete.
Ogni giorno nascono nuove forme di comunicazione, si aprono nuove piazze virtuali, vengono creati nuovi strumenti tecnologici che influenzano tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Il lavoro, l’istruzione, le relazioni industriali e sindacali, il tempo libero e il commercio sono stati investiti dall’onda, diciamo tsunami, della digitalizzazione e richiedono notevoli sforzi di adattamento. Attenzione però, non è il progresso tecnologico la causa di eventuali successi o insuccessi (pensiamo allo smart working o alla cosiddetta DaD didattica a distanza), ma il modo in cui noi affrontiamo tali sfide: il digitale ha «virtualizzato la mente dell’uomo» nel senso che ha ampliato a dismisura le opportunità a nostra disposizione, trasformandoci da spettatori passivi in utenti attivi, e questo non è una conseguenza tecnologica, ma un nuovo modo di vivere la contemporaneità.
Se su tutto questo siamo d’accordo è facilmente intuibile il perché della crisi della democrazia e quindi della politica.
Nella società digitale ogni singola persona ha a disposizione – alla distanza di un semplice clic – straordinarie opportunità e infinita conoscenza. È possibile mandare un messaggio a Barack Obama e avere discrete possibilità di ottenere una risposta. Teoricamente sarebbe possibile accedere a ogni informazione riguardante la propria vita, dal numero di alberi presenti nel proprio quartiere ai livelli di inquinamento dell’aria. Apparteniamo alla cultura digitale, ogni giorno che passa ne siamo sempre più consapevoli e non siamo più disposti a tollerare opacità, decisioni calate dall’alto senza contradditorio, rendicontazione puntuale e assunzione di responsabilità.
Un capitolo a parte poi meriterebbe il tema della disinformazione e delle cosiddette Fake News sulla tenuta democratica del Paese: un’autentica distorsione causata dall’utilizzo errato delle tecnologie digitali. Quindi, vogliamo tornare ad avere fiducia nella politica? Bene! Il digitale ci offre tutti gli strumenti necessari per ridare linfa alla partecipazione attiva, che in qualche modo non è altro che dare una nuova possibilità alla democrazia di trionfare.