La Prima Pietra

LA MINACCIA COVID-19 IN UN CONTESTO SANITARIO GLOBALE

Ci troviamo di fronte ad una delle più spaventose catastrofi della storia? La mia risposta breve è che non lo so. So per certo che, come avevo a suo tempo previsto, la velocità di diffusione di questo virus è veramente impressionante.

L’R0 del virus SARS-CoV2 che provoca la polmonite chiamata COVID-19 è stimato essere tra 2 e 3, e cioè ogni infetto ha la capacità di infettare 2-3 persone. Il valore è presunto, perché non esistono dati sulla reale incidenza della malattia, ma solo ipotesi più o meno ben portate. A pochi, credo, è chiaro che cosa questo significhi. Un prudenziale R0 a 2.5 significa che 10 persone infette avranno infettato 136 persone, e che queste 136 persone a loro volta faranno salire il numero degli infetti a 23.289. Quando i contagiati di questo cluster arrivano a 1000, 1.251.249 persone saranno state infettate. Se l’R0 fosse 3, i contagiati finali di questo cluster sarebbero più di 5 milioni. Da un solo paziente lasciato senza controllo.

Recentemente Science ha ipotizzato che il contagio a questo punto abbia colpito un numero di persone 10 volte superiore a quello registrato. La velocità di ascesa della curva esponenziale, nel caso del virus SARS-CoV2, suggerisce che l’R0 potrebbe essere stato sostanzialmente più alto al picco epidemico e che si stia riducendo grazie alle misure adottate prima di tutto dal Governo italiano e, successivamente, seguite, sia pure con intensità variabile, da tutti gli altri governi.

Nessun governo, fatto salvo per certi versi quello Italiano, che pure si mosse in modo confuso ed inefficace all’inizio di questa vicenda, ha mostrato di capire un assunto chiaro che molti scienziati avevano segnalato: un’epidemia di questo tipo, il cui rischio assoluto di mortalità è sconosciuto ed il tasso di fatalità dei casi positivi incerto, ma con una capacità di contagio spaventosamente rapido, o si cerca di controllarla al momento della sua apparizione, o diventa incontrollabile e causa il collasso delle strutture sanitarie (vedi Lombardia, e Bergamo in particolare). Tutti i paesi si sono trovati a fronteggiare gli stessi problemi, con l’aggravante di non aver tenuto conto della drammatica esperienza Italiana, e di aver sottovalutato la capacità del virus, che avrebbe dovuto indurre ad un lock down precoce (tutti hanno sotto gli occhi le elezioni Francesi, una responsabilità di cui Macron dovrebbe essere chiamato a rispondere). Anche il governo Italiano si è mosso inizialmente in modo maldestro (per la chiusura dei voli dalla Cina, senza tenere conto che dalla Cina si poteva arrivare pure da Francoforte, per dire), ma poi ha recuperato, con i provvedimenti successivi, scalari, e, secondo alcuni tardivi (ma che esperienza precedente avevamo di una cosa del genere?), chiamando persone di grande competenza a sviluppare e sostenere i programmi di contenimento. Il recupero, tuttavia, non si è tradotto in un piano organico di contenimento e di protezione individuale delle categorie di lavoratori più esposti, per due ragioni, entrambe politiche.

La prima ragione è che il nostro ordinamento prevede che la materia sanitaria sia responsabilità diretta delle Regioni, che hanno piena autonomia organizzativa e finanziaria. I presidi sanitari, dalle mascherine chirurgiche alle protesi d’anca ed ai cuori artificiali, sono responsabilità della programmazione sanitaria delle Regioni e non del Governo. Negli Ospedali, la fornitura di questi presidi è responsabilità delle Direzioni Generali e Sanitarie, nominate dai Presidenti di Regione, su base squisitamente politica. Dunque, ogni Regione fa quel che le pare. E così è stato anche in questa occasione. Con la conseguenza che in alcune regioni, l’allarme è stato recepito in tempi abbastanza utili per tentare il controllo dell’epidemia (il Veneto al nord, Lazio e Campania al sud, malgrado la dissennata migrazione interna di 40.000 persone in due ondate), in altre come la Lombardia e l’Emilia-Romagna, invece no. L’istituzione che meno degli altri aveva sottostimato la portata di quel che stava accadendo era stato proprio il Governo, che con il primo Decreto del 31 Gennaio aveva definito il limite dell’emergenza nientemeno che nei successivi 6 mesi, ricevendone sbeffeggiamenti dall’interno e dall’esterno del paese, nonché bacchettate sulle dita da alcuni puristi costituzionali. Queste cose vanno ricordate.

La seconda ragione è di carattere generale e riguarda tutti i paesi occidentali industrializzati. La produzione di alcuni beni che oggi, in piena crisi COVID-19, si rivelano strategicamente critici (e non parlo solo di mascherine e camici monouso, ma anche di farmaci molto importanti e di apparecchi elettromedicali come i ventilatori ed i respiratori), è stata alienata, perché poco conveniente sul piano del profitto, ed è stata affidata a paesi dai quali, di fatto, tutto l’occidente dipende. Molte di queste aziende mantengono la loro sede amministrativa e finanziaria, ma tutta la produzione è affidata a terzi. Se capita una catastrofe come quella che stiamo vivendo, l’intero sistema va in crisi. Era prevedibile? Si, lo era. Ogni secolo, da quando l’uomo ha memoria, ha visto la sua bella pandemia e, dopo l’epidemia Spagnola del 1918, scoppiata in assenza dei mezzi di comunicazione di oggi (!), noi avevamo avuto altre avvisaglie, come l’Asiatica, il riproporsi del nipotino dell’H1N1 (Spagnola) nel 2008 (che non fece una strage, perché avevamo il vaccino, ma comunque lasciò sul tappeto quasi 20.000 morti), e, specialmente, la SARS e la terribile MERS (consumate in modo abbastanza rapido non per merito nostro, ma per loro caratteristiche epidemiologiche). Sapevamo, dovevamo sapere, che sarebbe successo, ed oggi dobbiamo sapere che succederà ancora.

Ed invece, dal 9 Novembre 1989, i freni al liberismo sfrenato che ha portato alla globalizzazione di beni e servizi essenziali, rendendo tutti più vulnerabili, sono caduti, la deterrenza rappresentata dal rischio del socialismo reale e, di conseguenza, anche la forza della socialdemocrazia Europea, che ne rappresentava l’elemento compatibile con i principi ed i valori occidentali, sono caduti. Il profitto, la rendita finanziaria, la moltiplicazione dei soldi da altri soldi è diventato il valore primo delle nostre società, superando e, in alcuni casi abbandonando, la tutela della collettività come bene supremo di una civiltà del diritto fondata sui valori inalienabili su cui tutta l’Europa era stata costruita a partire dall’illuminismo francese.

E forse vanno convinti gli imprenditori che trascurare la salute collettiva a vantaggio del profitto può essere un boomerang, perché le perdite economiche possono in un baleno far scomparire i progressi di 10 o 20 anni, come di fatto si sta verificando. In un video postato su Facebook, il 28 Febbraio, quando a tutti gli esperti virologi, epidemiologi ed internisti era chiaro cosa stesse succedendo, la Confindustria vantava che Bergamo fosse pienamente operativa e produttiva (https://youtu.be/_ZH9-Pvew_4), giustificandolo con la fandonia che il Governo aveva dichiarato l’epidemia a basso rischio. Cosa stava succedendo era già chiaro dopo la dissennata scelta di far disputare la partita Atlanta-Valencia a Milano, quando l’epidemia cinese aveva già mostrato quale era il potenziale diffusivo del virus. Il primo marzo, preoccupato dalla rilassatezza generale, anche io scrivevo su questo nel mio primo pezzo per questo giornale (http://www.laprimapietra.eu/covid-19-e-paure/).

E’ augurabile che il modello di società attuale venga definitivamente abbandonato dopo la pandemia di COVID-19 e che la ragione torni a proiettare il nostro futuro sull’orizzonte di decenni, piuttosto che di mesi, riprendendo strategie di sviluppo economico e sociale compatibili con la preservazione di beni primari e non commercializzabili, come appunto è la salute.

Image by Gerd Altmann from Pixabay

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