Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco
generose travolse alme d’eroi,
…. …. ….
Musa, quell’uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
Gittate d’Ilïòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L’indol conobbe; …. ….
Troia, e le sue rovine (Schliemann e la “sua” Ilio in terra di Turchia), con i fiumi Scamandro e Simoenta; e Itaca, petrosa, isola “solitaria”, la più occidentale di un arcipelago, nel mar Ionio-Egeo; e lo stretto di Messina (Scilla e Cariddi); e la terra di Polifemo (spesso individuata come una zona della Sicilia orientale); e la terra dei Lestrigoni (spesso individuata in Corsica o Sardegna); ed il Peloponneso e Sparta, dove si reca Telemaco per chiedere notizie del padre a Menelao …
Tutti, chi più, chi meno, ricordiamo se non proprio i versi precisi (nelle classiche traduzioni di Vincenzo Monti e di Ippolito Pindemonte), le avventure (la storia, secondo molti, ché probabilmente a quei tempi gli storici erano poeti, non saggisti) della guerra di Troia, e le peripezie di Ulisse. E tutti sanno, appunto, della incredibile e meravigliosa “scoperta” di Schliemann, le rovine di Troia, in terra di Turchia; e di tutta l’ambientazione “egeo-mediterranea” della storia della guerra di Troia e del ritorno a casa di Ulisse.
In questo testo (riveduto e ampliato più volte), l’ingegnere nucleare Felice Vinci ci sottopone una sua ricostruzione affascinante ed originalissima: la “vera” storia avvenne, 2000-2500 anni prima di Cristo, nel nord Europa, sostituendo Baltico a Mediterraneo. E a prova di questa sua intuizione, porta più di 600 pagine di indizi, di ricostruzioni, di considerazioni, di analisi dei testi omerici, di studi climatici, geografici e geomorfologici , e toponomastici …
Tutto nasce, secondo Vinci, da precise affermazioni dello storico, scrittore, biografo, geografo, filosofo greco Plutarco, cittadino romano, vissuto a cavallo tra il I ed il II secolo dopo Cristo, che in una sua opera afferma che l’isola di Ogigia, l’isola della dea Calipso, dove Ulisse soggiornò per lungo tempo prima di partire per la terra dei Feaci, si trova a 5 giorni di navigazione dalla Britannia, in direzione occidente. Ogigia, quindi è nell’Atlantico settentrionale: alcuni hanno individuato Ogigia in una delle Fær Øer, arcipelago attualmente autonomo ma facente parte (come la Groenlandia) della Danimarca. Hermes, il messaggero che porta a Calipso “l’ordine” di Zeus di lasciar partire Ulisse, si lamenta del fatto che Zeus lo abbia fatto arrivare fin là, traversando tanta acqua; e Ulisse stesso, impaurito, chiede a Calipso: vuoi farmi attraversare su una zattera un immenso abisso di mare?”. Ogigia, quindi, piena di uccelli marini (non se ne trovano così tanti e vari alle latitudini mediterranee), con cedri e pini e platani e cipressi lungo i corsi dei fiumi, è un’isola nordica, nell’oceano Atlantico. E certo Ulisse, via mare, può solo pensare di arrivare .. nel mare Baltico, con terre e isole e città abitate. Più precisamente arriverà nella terra dei Feaci, in Norvegia meridionale.
Ma allora quale è la tesi centrale del libro? Che i fatti narrati si siano svolti in ambientazione nordica, in un periodo di optimum climatico, di clima molto più caldo in Europa del Nord (dal VI al III millennio avanti Cristo è noto che il clima fu molto più temperato rispetto all’attuale). Nel corso di secoli successivi, le condizioni climatiche cambiarono di molto, in peggio, costringendo le popolazioni nordiche a spingersi a Sud, per trovare condizioni climatiche più adatte alla vita. E così i “nordici”, i biondi Achei, si spostarono a Sud, occupando terre nel mar Mediterraneo (Micene) e nell’odierna Grecia e zone limitrofe. Ricostruendo in questa nuova zona il loro mondo originario, le loro saghe, le loro leggende, compresa quella della guerra di Troia. I migratori (che probabilmente usarono il Dnepr per arrivare a Sud, fino al mar Nero, come molti secoli dopo avrebbero fatto i Vichinghi, per moltissime cose molto simili agli Achei) portarono con sé geografia, toponomastica, nomi, mitologia, epopee. Con il tempo si perse “l’informazione” di questa migrazione. Ma tutto il resto rimase.
Indizi geografici: dal “catalogo delle navi” che partono per la guerra, nell’Iliade, sappiamo grandezza, ricchezza, geomorfologia delle varie “isole” e territori che contribuirono alla “spedizione di guerra”; particolare la caratteristica di Dulichio, “l’isola lunga”: nel mare Ionio-Egeo semplicemente … non c’è; c’è invece (Langeland) nel mare Baltico, la più grande e “allungata” di un arcipelago di isole e isolotti danesi;
secondo l’Iliade 40 navi partirono da Dulichio, soltanto 12 dalle tre isole Itaca, Same, Zacinto, capitanate da Ulisse. E, ancora, nell’Odissea, ben 52 principi pretendenti vendono a Itaca da Dulichio, per sposare Andromaca. Un’isola grande e ricca, dunque. Insomma, che fine ha fatto Dulichio, la più ricca e più grande isola, citata ben 12 volte nei poemi omerici? E ancora: è difficile adattare la descrizione omerica alla geografia della Troia “turca” ; immediata coincidenza invece (i due fiumi, Scamandro e Simoenta, la piana davanti la città, ecc ,…) con la “Troia” in terra di Finlandia
Il Peloponneso: pianeggiante, e rigoglioso di grano. Così lo descrive l’Odissea; il viaggio da Pilo (dove aveva incontrato Nestore) a Sparta (dove incontra Menelao e Elena), Telemaco lo percorre in un battibaleno su un cocchio tirato da cavalli: davvero impossibile, per la tormentata e rocciosa orografia del Peloponneso … “greco”! Ma non per la geografia e morfologia “nordica”: rifacendosi sempre al “catalogo” che ripercorre in senso antiorario la posizione di terre e isole che contribuirono alla spedizione, dalla Svezia alla Finlandia, troviamo l’isola di Sjaelland, ricca e pianeggiante, che corrisponderebbe al Peloponneso, con Pilo e Sparta.
Clima e latitudine: Ulisse riesce ad approdare alla terra dei Feaci (terra, sempre terra, nel poema non è mai chiamata isola, come poi si è stati costretti ad individuarla nell’Egeo! Secondo Vinci una terra, penisola, della Norvegia meridionale) grazie all’alta marea, al “ritirarsi” di un fiume: fenomeno tipico del Nord Europa, assai poco usuale nell’Egeo; battaglie che si protraggono per tutta la notte con un chiarore diffuso, tipico di territori vicini al circolo polare artico, impossibili a latitudini molto più basse; fuochi sempre accesi, mantelli e pellicce in abbondanza, in stagioni calde nel mar Mediterraneo? Molto più “plausibili” a ben altre latitudini! Nell’Odissea, il mare è sempre “livido”, nebbioso, brumoso, in netto contrasto con temperature e visibilità e “solarità” dei mari mediterranei Ionio ed Egeo in stagioni adatte alla navigazione!
Tralasciando del tutto (l’autore stesso ammette possibili fortuite coincidenze) l’assonanza se non la quasi identità di nomi e termini “omerici” con nomi e termini della geografia di Norvegia, Finlandia, Danimarca. (Hogoyoggy-Ogigia, Toja-Troia, la già citata Langeland-Dulichio (terra lunga), ecc …
Insomma, una nuova sconvolgente “verità”? Praticamente ignorato, o al massimo ritenuto una accozzaglia di concetti e ricostruzioni fantasiose e senza alcun fondamento, dalla accreditata cultura accademica (e difatti non sembra ci siano confutazioni ufficiali o scritte o in saggi o in articoli di prestigiosi studiosi del mondo antico e dei poemi omerici), non è certamente un lavoro che “dimostra” qualcosa. Tuttavia, e questo lo ammettono in molti, tra gli altri Rosa Calzecchi Onesti, traduttrice di Omero e Virgilio, latinista, esperta di poemi omerici, Edoardo Sanguineti, Massimo Cacciari, e tanti altri, si tratta di una tesi magari da studiare ed approfondire, perché le risultanze sono davvero tante e non si può liquidarle con sufficienza; al di là degli auspici che una riscoperta di Omero in chiave nordica potrebbe favorire un bisogno di ritrovare identità e radici comuni ancora più forti rispetto ad oggi, e potrebbe contribuire alla nascita di un nuovo umanesimo nella cultura dell’Europa, questo interessante libro (si legge con piacere, e con .. attesa, aspettando di scoprire un finale … che non è ancora scritto), se anche avesse un solo merito, sarebbe sicuramente quello di “costringere” a tornare sui propri passi di scolari, “nella scia di Ulisse” e di Omero, a rivedere episodi e termini e lingua dell’antichità greca; un “ritornare” che non può che essere d’aiuto al cuore e all’intelletto.
“Omero nel Baltico. Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade”, di Felice Vinci, Palombi Editori.