Quando, circa 13 anni fa fu fondato il Partito democratico, l’evento fu favorevolmente salutato poiché segnava l’incontro tra la tradizione di sinistra di cui i democratici di sinistra erano eredi ed una certa parte del mondo cattolico, di cui all’epoca la Margherita poteva dirsi rappresentante.
Il progetto era molto ambizioso e prefigurava un partito a vocazione maggioritaria, capace di riuscire ad imprimere una svolta riformista alla politica italiana.
Tuttavia, passato l’entusiasmo iniziale, la navigazione nel mare della politica italiana non è stata mai facile, anzi a tratti burrascosa, con un continuo alternarsi di leader, troppo presto bruciati e con risultati elettorali altalenanti.
Difatti, dopo la segreteria Veltroni complice il risultato negativo alle regionali del 2009 , vi fu un primo cambio di segreteria con l’avvento di Dario Franceschini , fino ad arrivare a Pier Luigi Bersani e storia recente a Matteo Renzi e Nicola Zingaretti.
Si sono succeduti, leader tra di loro differenti, che a tratti si veda Bersani e Renzi, hanno dato la sensazione di poter controllare il partito e di poterlo “plasmare a propria immagine e somiglianza; ma ognuno è stato costretto presto o tardi a gettare la spugna, compresso tra le lotte interne di partito e i risultati elettorali non sempre favorevoli.
E oggi? Non si può dire che il partito attraversi un momento positivo, in preda ad una profonda crisi identitaria, con una fusione tra le due anime quella centrista e quella di sinistra forse mai avvenuta; un partito da cui si preferisce uscire, piuttosto che confrontarsi, come Bersani e D’Alema prima e in tempi più recenti Renzi insegnano.
Eppure la centralità politica del partito è sempre più forte, al punto che tranne l’interregno del governo lega- cinque stelle, i democratici sono perno delle coalizioni dal 2013: coalizioni in cui in nome della governabilità il partito ha dialogato e fatto accordi con forse politiche avversarie fino alle elezioni.
Questo è accaduto in primo luogo nel 2013 allorquando erano il partito di maggioranza relativa e dopo lo psicodramma Bersani, che non riuscì a formare un governo con i 5 stelle, toccò a Letta varare un governo con forza Italia , e dopo il ritiro degli azzurri , con alcuni pezzi del partito capitanati da Angelino Alfano.
Lo stesso nell’agosto del 2019, dove nel bel mezzo della crisi di governo più anomala che si ricordi , il segretario Zingaretti ha varato un governo , il Conte Bis, con il movimento 5 stelle , avversari e parte di un governo di destra estrema con Matteo Salvini.
Insomma il partito democratico , è diventato un partito essenziale per assicurare la governabilità del paese , perché capace di fare alleanze con forze politiche opposte , perché dotato di capacità di sintesi e quindi in grado di assicurare la tanto agognata governabilità al nostro paese.
Non a caso il ritorno al governo , dopo appena un anno ha rassicurato l’Unione europea , la quale ha immediatamente cambiato atteggiamento nei confronti dell’esecutivo italiano, arrivando addirittura ad assegnare ad un esponente Dem , Paolo Gentiloni , nella nuova Commissione il portafoglio agli affari economici.
Ci sono due fattori che aiutano a comprendere questa centralità del partito democratico, sia pur in un momento di profonda crisi “ vocazionale” , il primo è dato da un sistema proporzionale che aiuta o meglio incoraggia a cercare di fare alleanze per governare ed in questo la dote di consensi del partito democratico , sia forza di maggioranza relativa o anche di opposizione aiuta.
Il secondo è dato dal panorama , ci si consenta assolutamente desolante della panorama politico italiano, in cui la destra con l’approssimarsi del crepuscolo dell’era berlusconiana è priva di una figura in grado di prendere la guida del Paese.
Matteo Salvini ha assunto una connotazione troppo estrema a cui deve probabilmente gran parte del suo consenso attuale e difficilmente potrà arrivare a Palazzo Chigi ,poiché vi avrebbe vita breve.
Altri leader come la Meloni , pur offrendo un immagine più rassicurante agli occhi esterni e della comunità internazionale non hanno invece per il momento i numeri per intestarsi la guida della coalizione .
Non rimane allo stato , quindi che il partito democratico , come forza intorno alla quale organizzare di volta in volta il governo, che un domani nelle logiche attuali potrebbe benissimo estrinsecarsi per assurdo in un governo con una lega post Salvini al limite con Zaia segretario.
Insomma senza accorgersene pian piano , da partito riformista i democratici stanno diventando un movimento di centro , non nel senso degli ideali politici, quello è un altro discorso , ma nel senso della collocazione politica, poiché ingrediente utile in ogni coalizione, ne troppo a sinistra ne troppo a destra.
Può non piacere , soprattutto a chi è cresciuto con le logiche del maggioritario e sogna un sistema a doppio turno, ma sono le logiche del sistema proporzionale, comprese in fretta anche dai vertici del partito.
Non a caso, da tempo i Dem hanno abbandonato il sistema maggioritario e la relativa mentalità , per la quale il partito doveva appoggiare un sistema elettorale che gli consentisse di governare praticamente da solo o con fidati alleati in nome del ritorno al proporzionale.
Obiettivo , neanche tanto velato delle trattative sulla nuova legge elettorale è il varo di una legge, che segni la chiusura della stagione del maggioritario iniziata nel 1994 all’indomani di Tangentopoli. Poco importa che sia chiamato Germanicun o Brescellum , allo stato le leggi elettorali proposte prevedono un proporzionale puro con sbarramento ( vedremo se al 5% o al 3%), in cui per governare sarà necessario un accordo tra forze politiche anche di estrazione differente.
Un sistema nel quale il partito democratico, sarà interlocutore necessario per la formazione di un governo duraturo e con un minimo di prospettive, una forza politica pronta a realizzare la coalizione migliore per governare.
Non si tratta si badi di “poltronismo” , di smania di governare ad ogni costo o di trasformismo, ma piuttosto della capacità di riuscire a cogliere l’essenza del momento politico che stiamo vivendo.
Le varie anime che compongono i democratici, quindi trovano un punto di convergenza nel sapere di poter ambire al governo del paese , con facilità laddove un sistema maggioritario, con l’emergere di una segreteria forte avrebbe portato prima o poi alla separazione delle due anime del partito.
Fatte le debite proporzioni ,il partito guidato oggi da Zingaretti, si sta ritagliando lo stesso ruolo che un tempo aveva la democrazia cristiana , ovvero quello di un partito in un certo senso con la governabilità nel suo DNA , elemento essenziale sia da azionista di maggioranza che da partner di ogni esecutivo. Del resto , se di eccettuano i continui abbandoni, ci troviamo come nel passato al cospetto di un partito composto al suo interno da varie anime , tra di loro in perenne contrasto e in cui non emerge un leader in grado di condizionare pienamente la vita del partito; piuttosto abbiamo dei segretari che sono consumati e logorati come i vecchi democristiani dal partito stesse e dalle sua lotte interne, basti vedere la storia da Valter Veltroni in poi , nessuno escluso.
Le ultime leadership , ovvero quelle di Matteo Renzi e di Nicola Zingaretti , hanno anche definito materialmente il cambiamento all’interno del partito. Matteo Renzi con le sue scelte ha allontanato i democratici lentamente dagli ideali e dalle politiche di sinistra , mentre Zingaretti pur provenendo da quel modo ha abbandonato le tendenze definitivamente le tendenze riformiste in favore di una politica del compromesso e dell’accordo politico.
Tutto ciò ha naturalmente un costo, che come visto consiste nel cambio di pelle del partito democratico: sarà la strada giusta? e dove porterà Zingaretti e soci? Molto dipenderà ovviamente dalle urne , ma di sicuro sarà un qualcosa di molto diverso da quanto pensato all’atto della fondazione nel 2007 .
Il ritorno al proporzionale ,renderà molto difficile un confronto con l’elettorato di sinistra , poiché sarà molto difficile che riesca ad emergere almeno nel medio termine una forza politica , in grado di fare concorrenza numerica ai democratici in quell’ambito, ovvero di ambire al 15% almeno. Nel panorama politico attuale , il Partito democratico è però di gran lunga la forza politica più affidabile in termini di governabilità : certo i propositi inziali sono ormai spariti, ma questa è una storia differente.
Il futuro del partito democratico , è quindi piaccia o no quello di un partito destinato ad occupare il centro della politica italiana , quasi come la democrazia cristiana di un tempo, ovviamente centro da intendersi in senso ampio come punto di sintesi di diverse idee politiche.
Del resto anche le scelte politiche degli ultimi tempi non fanno che confermare questa sensazione.