La vittoria di Vincenzo De Luca, anticipata da sondaggi numericamente impietosi nei confronti degli avversari e data praticamente per certa dalla scorsa primavera, è arrivata con un risultato talmente largo da espandere la sua maggioranza oltre il limite consueto.
Proprio questa certezza del risultato e dell’ormai classico premio destinato al presidente vincente aveva spinto tanti a cimentarsi nelle sue fila: 15 liste, per un totale di 750 candidati, provenienti dalle tradizioni politiche più disparate, dalla sinistra ai moderati e alla destra non ideologica, come dichiarato dallo stesso vincitore a risultato acquisito.
Molte liste del centrosinistra sono nate di fatto con l’obiettivo dichiarato di eleggere questo o quel candidato di punta, connotandosi quindi per una forte personalizzazione. Alcune rappresentavano orientamenti politici pur non riconoscendosi in simboli nazionali. Altre ancora erano un puro riflesso del candidato presidente e hanno certamente indebolito il Partito Democratico. Gli altri partiti hanno dato tutto sommato buona prova: Italia Viva, Verdi, PSI, Più Europa e Centro Democratico hanno eletto propri rappresentanti, sebbene nella maggior parte dei casi essi siano acquisti dell’ultima ora. Molti sono i cosiddetti “figli di” entrati nell’assise regionale: questo dato sembra ufficializzare l’idea che alcuni sistemi di consenso siano trasmissibili per via ereditaria e certo non rappresenta un bel segnale.
La liquidità di questa competizione, la fluidità delle transizioni da uno schieramento all’altro e la vittoria assicurata hanno reso le elezioni regionali un fatto tattico più che uno scontro politico. Per farla breve, una corsa al posizionamento migliore. Si illude però chi pensa che la proliferazione di liste sia un fatto transitorio o legato solo al prevedibile successo di De Luca: la tendenza degli ultimi anni e di tutte le competizioni elettorali è quella della ricerca della quantità e non della qualità. Candidati sindaci e governatori costruiscono coalizioni più ampie possibili per drenare il numero maggiore possibile di voti. La liquefazione del sistema dei partiti, la fine di ogni forma di finanziamento pubblico della politica e della democrazia e le cosiddette liste civiche favoriscono questo sistema che continuerà senza dubbio a degenerare, come sarà chiaro già nel 2021.
Molto, si è detto, è dipeso da De Luca e dalla sua volontà di costruire una corazzata che avesse uno scopo chiaro per quanto paradossale, ossia indebolire il proprio partito. In realtà non è una questione legata al singolo interprete, per quanto l’attuale presidente incarni una leadership votata all’eccesso, sia in senso politico sia in senso mediatico, bensì un problema strutturale: l’elezione diretta del vertice amministrativo, si tratti di sindaco o di presidente di regione, rafforza inevitabilmente chi ricopre il ruolo apicale, in special modo se la partita è vinta con ogni evidenza dalla persona prima che dal partito e/o tantomeno dall’idea.
Il significato simbolico di quest’elezione giocata sulla tattica e non sulla politica è ancora più forte perché contemporaneo alla peggiore e più inutile modifica della Costituzione che si sia mai vista. Il taglio della rappresentanza parlamentare peggiora ulteriormente la vita democratica del paese, ha come principale motivazione un risparmio che non esiste e si fonda su una sostanziale ipocrisia, perché i parlamentari del centrosinistra hanno votato a favore di questa modifica solo ed esclusivamente per tenere in piedi il governo attuale, creando quindi un precedente pericolosissimo: cambiare il testo sacro della nostra Repubblica per un’esigenza del momento.
La colossale crisi sanitaria e la conseguente e spaventosa crisi socio-economica sono state lo sfondo di questa vicenda elettorale e con ogni probabilità lo saranno anche delle prossime. L’Italia, la Campania e Napoli vivono momenti di grande difficoltà, con i servizi essenziali e più importanti (istruzione, sanità, trasporti) allo stremo e in condizioni negative mai viste prima. Nel capoluogo l’era de Magistris è agli sgoccioli e la sensazione generale è che il largo campo politico della sinistra non sarà unito al primo turno, che per molti aspetti potrebbe costituire una sorta di primarie tra vecchi e nuovi esponenti della politica napoletana.