Ha proprio ragione Livia Turco nella sua prefazione del libro “Disuguali”, di Rosetta Papa, a dire mettiamo in pratica, finalmente, tutte le analisi, tutte le idee che ormai da decenni, innervano il pensiero critico su disuguaglianze, divari Sud-Nord, sanità, condizione femminile. E aggiungo in maniera “ingenua” tra virgolette, come scriveva agli inizi del XX secolo lo scrittore Giovanni Cena, guardando le disperate condizioni di vita del sottoproletariato e proletariato di una metropoli come Torino, il Re non ne sa nulla, altrimenti interverrebbe, bisogna fargli sapere come vive la povera gente a Torino; aggiungo, dicevo, mi pare evidente, chiaro, che i nostri ministri i nostri presidenti di regione i nostri sindaci non sappiano nulla, e che allora debbano leggere libri come quello di Rosetta Papa! Per poi agire!

Il libro, scritto nel 2021, risente molto della drammatica situazione, dalla quale speravamo si cominciasse a uscire, dovuta al Covid. Ma le argomentazioni, le puntuali e precise e dettagliate analisi di Rosetta, pur nella temperie drammatica di quei giorni, sono rigorose e veritiere, ahimé, a prescindere. Direbbe Totò.

Tanti sono i problemi che il libro affronta e mette a nudo, dimostrando incapacità e spesso cattiva volontà di risolverli.

E il tutto si intreccia, come non potrebbe, con l’attualissimo tema dell’autonomia differenziata, e dei divari Sud-Nord, in una parola della questione meridionale, per tornare ad usare un lessico che sembra ormai caduto in disuso. Dare il giusto nome alle cose è rivoluzionario, un’altra citazione di Rosetta, stavolta di una sua quasi omonima, Rosa Luxemburg. Certo, l’argomento centrale è quello della sanità, ed in particolare la condizione di ulteriore svantaggio delle donne.

Vorrei citare solo un paio di temi, lo spazio non consente di trattarli tutti, qui, come si dovrebbe: uno, citato e stracitato, ma sempre significativo, quello degli asili nido. Molto bene ricorda Rosetta gli obiettivi annunciati e accettati, dall’Europa e dall’Italia, del 33% di posti in asili-nido rispetto alla platea dei bambini in età 3-36 mesi: “l’obiettivo è quello di assicurare che almeno il 33 per cento della popolazione di bambini residenti ricompresi nella fascia di età da tre a 36 mesi possa usufruire nel 2026 del servizio su base locale». È la Nadef 2021 in preparazione della legge di bilancio 2022 … E, ancora, nel frattempo, la UE ha stabilito il raggiungimento dell’obiettivo del 45% per il 2030.

Da dove si è partiti? Si è partiti da quei tanti zeri al Sud denunciati da Marco Esposito, per cui se ad esempio a Reggio Emilia ci sono molti asili-nido, per questo servizio si finanzierà Reggio Emilia con 9milioni di euro l’anno; se a Reggio Calabria, stesse dimensioni e popolazione di Reggio Emilia, ce ne sono pochissimi, solo 3 fino a poco tempo fa, a RC si assegnano … 90mila euro. Un bambino di Reggio Calabria vale, per i nostri governi, un centesimo di un bambino di Reggio Emilia! E, Rosetta Papa lo sottolinea, la presenza di asili-nido significa aiuto alle donne, alle mamme, che in tal modo possono lavorare, in caso contrario non possono farlo. E quindi minore emancipazione, e minore reddito familiare.  La perla, ancora sugli asili nido, è che il 33%, come correttamente riportato da precedenti governi, deve essere un obiettivo “locale”, l’asilo-nido è un servizio di prossimità ovviamente!  E invece, in un documento inviato alla UE in preparazione della legge di bilancio 2025, l’ineffabile Giorgetti ha fatto sapere che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 33% su scala NAZIONALE! Con un impegno a livello REGIONALE a non scendere (questo sarebbe un … Lep!) sotto il 15%! Osceno! Se, supponiamo, ci sono 5000 bambini in età di asilo-nido a Reggio Emilia e 5000 a Reggio Calabria, e a RE ci sono posti per 3000 bambini e a RC posti per 300 bambini, l’Italia avrebbe trionfalmente centrato l’obiettivo! Osceno! Non riesco a trovare una parola più appropriata!

Infine, l’altra questione, a cui accennerò soltanto, che mi tocca anche come prof universitario: la questione della enorme carenza di personale medico e infermieristico. Rosetta riporta la frase: “che me ne faccio di tanti ecografi, se non ci sono ecografisti”, ed è la spettacolarizzazione di una situazione drammatica: la carenza di professionisti nel campo sanitario. I medici di famiglia, di medicina generale come si chiamano, sono pochissimi; così come pochissimi sono i medici ospedalieri. Gli stipendi sono bassi, il lavoro, specie nei Pronto Soccorso e nelle Medicine d’Urgenza, è massacrante, oltre che pericoloso, come dimostrano, per ricordare solo i più recenti, gli ultimissimi e gravissimi episodi di aggressione a medici ed infermieri … E’ necessaria una politica nazionale sulla Sanità che decida innanzitutto, al di là come ovvio di gestione attenta, di organizzazione efficiente, ecc…, di investire almeno il necessario per far funzionare ad un livello accettabile il SSN, così come pensato 50 anni fa o giù di lì. L’obiettivo 7% del PIL per la Sanità deve essere raggiunto. E qui, e chiudo, si innesta il problema numero chiuso a Medicina, fatemelo dire così. La proposta di legge che sembra andare avanti, proprio nei prossimi giorni in discussione (se non vado errato al Senato) è una schifezza, annuncia una finta apertura per gli studi di Medicina, in realtà, scimmiottando (male, e con carenze enormi rispetto a quella situazione), la organizzazione francese (ah, in Francia stanno abbandonando questa insostenibile organizzazione universitaria, perché si sono accorti che non va bene) Questa iea, in un primo momento appoggiata da tutti i gruppi parlamentari in Commissione, poi, per fortuna, sembra, il Pd abbia fatto marcia indietro e ora critichi duramente tale impostazione, aprirebbe a tutti quelli che vogliono, l’ingresso a Medicina, salvo, dopo un semestre, non è ancora chiaro come, consentire il proseguimento solo a 25.000 studenti, a fronte mi pare degli stimati 60.000 che si iscriverebbero al I semestre). Questo la dice lunga sulle intenzioni del governo: intervenire in modo casuale ed estemporaneo (iscrizione studenti del I anno) e non pensare invece ad un intervento che preveda prima di tutto un cambio di politica per cui la prevenzione andrebbe preparata e finanziata per evitare poi la necessità di interventi sanitari; una programmazione adeguata e attenta del numero di medici e infermieri necessari a dieci anni; la presenza di ambulatori territoriali; si richieda il rispetto preciso e rigoroso degli accordi con le strutture private convenzionate, pena l’esclusione dalla convenzione; l’introduzione oltre che del medico di medicina generale, anche di infermiere (o come vogliamo meglio chiamarlo) di medicina generale; l’attenzione alla scuole di specializzazione, aumentando i posti a disposizione, e programmando una corretta distribuzione (specializzazione in chirurgia plastica, pur necessaria, e non solo per motivi estetici, non può avere la stessa importanza di medicina d’urgenza); incentivare medici ed infermieri a prestare servizio nei Pronto Soccorso e nelle Medicine d’Urgenza; tutto questo richiede un lavoro di lunga lena, almeno una o due legislature, coinvolgendo Ministero della Salute, Ministero dell’università, organizzazioni studentesche, organizzazioni sindacali, Regioni, Ordini professionali, …  ma figurati se sono così onesti, lungimiranti, intelligenti O siamo noi che siamo cretini.