Sabato scorso mia figlia Sonia, mi ha chiesto: papy ma secondo te possiamo andare al mercatino di Agnano domani mattina o pensi che sia pericoloso?

Cosa rispondete voi ad una giovane donna, tra l’altro non completamente estranea al problema, essendo una genetista molecolare, che chiede se è possibile fare una cosa normale?

Ecco che cosa è passato per il mio cervello in 2 o 3 secondi che mi sono preso per riordinare le idee. Posso rispondere meglio di no. In un mercatino la domenica ci può essere un sacco di gente, assembramenti imprudenti, coglioni che per parlare con te a 30 centimetri dalla tua faccia si abbassano la mascherina, insomma un sacco di cose da evitare, e che tu non puoi controllare.

Poi però mi sono chiesto, sempre in quei 2-3 secondi, per quanto tempo andremo avanti così? E le ho risposto.

Io credo che noi dobbiamo sforzarci di condurre una vita normale sotto tutti punti di vista, lavorativo, familiare, sociale. Un nuovo lock-down non sarebbe sostenibile né dal punto di vista economico né da quello individuale. Questa non è una situazione transitoria, né ci possiamo fare troppe illusioni sul funzionamento di un vaccino, perché ci sono ancora troppi punti interrogativi sull’immunità che questo maledetto virus evoca. Il vaccino potrebbe arrivare e funzionare, ma non ci sono certezze che così sarà, per ora. Per ora, non ci rimane che accettare la prospettiva di una lunga guerra di trincea durante la quale gran parte della nostra integrità e forse salvezza dipenderà esclusivamente dai nostri comportamenti. Si potrà chiedere alle autorità di esercitare controlli severi sulle regole di protezione individuale e distanziamento sociale, ma saremo noi stessi ad avere nelle mani la nostra sorte. Quindi andate al mercatino, ma siate prudenti. Mascherina, distanziamento e gel a portata di mano.

Arginare l’epidemia.

L’epidemia non è più arginabile con i mezzi sin qui adottati, come molti di noi avevano previsto, e non sappiamo come questo virus potrà evolvere. Sappiamo che ci sono persone che non se ne liberano, si chiamano “COVID-19 long-haulers”. Sappiamo che ci sono persone che guariscono ma a distanza di tempo hanno ricadute, ed altre che mantengono uno stato di malattia cronica, specie a carico del sistema respiratorio e nervoso. Noi non stiamo conteggiando ancora i morti da esiti a distanza, che invece ci sono, perché COVID-19 è una malattia potenzialmente letale, sul piano clinico e su quello economico. La quantità di danno prodotta da questo virus è ben lontano dall’essere chiara, anzi l’impressione è che noi stiamo guardando la parte emersa di un iceberg le cui dimensioni sono ancora sconosciute.

Detto questo però, bisogna capire che l’impennata dei contagi non è, dalla fine di agosto ad oggi, un’impennata di casi. Se i dati che vengono continuamente proposti riguardano principalmente i contagi e su quello noi dovessimo parametrare le decisioni saremmo messi malissimo. E purtroppo è quello che succede.

Come si vede in figura 1, noi abbiamo ormai superato il numero di contagi giornalieri avuto durante il picco epidemico in primavera.
Ma allora i contagi corrispondevano a casi clinici (lievi o gravi) di malattia, di COVID-19, oggi sono contagi che noi giustamente segreghiamo (perché non sappiamo quale capacità infettiva ha un contagiato asintomatico). Come è chiaro nella figura successiva, siamo lontanissimi da quel che capitava in primavera, quando il numero di ricoverati in ospedale, il nerissimo 6 marzo, raggiungeva l’impressionante cifra del 73% dei tamponi risultati positivi.

In maniera simile, con una curva che accenna appena a crescere a partire dalla fine di agosto, si può dire per i casi ricoverati in Unità di Terapia Intensiva (UTI): è chiaro che il rapporto con i contagiati identificati mediante tampone non è assolutamente paragonabile a quello che succedeva in primavera:

Quindi quello che stiamo vedendo ora ha poco a che fare con l’esplosione dell’epidemia ed il collasso delle strutture sanitarie nel settentrione del Paese visti in primavera, perché è diversa la tipologia dei soggetti sottoposti a tampone. E’ come voler mettere insieme mele e pere. Se i nostri rappresentanti nelle istituzioni non capiscono questo, il Paese è perduto. Il virus è terribilmente insidioso e non ha perso la sua grande capacità infettiva, ma noi abbiamo fatto un buon lavoro e se pensiamo che chiudendo tutto risolveremo di nuovo il problema, perché tanto arriverà il vaccino, significa che non abbiamo capito né che cosa sta succedendo né che l’uscita dal tunnel non è dietro l’angolo.

I grafici presentati mostrano, dunque, due tipologie diverse di popolazione. Nella seconda è soverchiante il numero di contagiati che non hanno contratto (e che non contrarranno) la malattia. Della loro capacità infettante si sa poco e niente. Quello che interessa sapere, però, è se, in termini assoluti, il numero di ricoveri ospedalieri può mettere di nuovo in crisi le strutture sanitarie e, specificamente, le terapie intensive, fino a sottrarre spazio ad altre patologie, come è successo in primavera. La figura successiva mostra l’occupazione dei letti di terapia intensiva in numeri assoluti e, di nuovo, si vede che siamo molto lontani dalle cifre raggiunte in primavera, benché non possa sfuggire che la curva tende ad impennarsi.

Noi abbiamo una sola possibilità di difesa, ora, che diventa non solo difesa della nostra salute ma anche dell’economia reale del paese e protezione delle famiglie che altrimenti rischierebbero di finire in mezzo ad una strada: le maschere facciali ed il rispetto della distanza sociale.

Con la mascherina facciale noi proteggiamo principalmente gli altri, non noi stessi. E le maschere di altre persone ci proteggono dalle loro goccioline respiratorie. Pertanto, la mascherina indossata diventa un segno di sensibilità e rispetto nei confronti degli altri e, quindi, di senso civico, se non di civiltà.

Mascherine.

Come ho ripetutamente detto, un numero crescente di studi mostra che quando intere comunità si mascherano, il virus perde il suo potere di diffondersi da persona a persona in quantità sufficiente da produrre una malattia grave. E bisogna ricordare che il virus può essere trasmesso anche quando parliamo o respiriamo profondamente. Il gridare o cantare o anche parlare a voce alta comporta la formazione di aerosol che può rimanere sospeso nell’aria per molto tempo e viaggiare molto lontano, ben al di là dei quasi due metri che suggeriscono le linee guida americane.

La mascherina evita la diffusione dell’aerosol. Il Center for Disease Control americano ha riportato sul suo giornale ufficiale, MMWR, la storia di due parrucchieri in Missouri che sono risultati positivi al tampone per SARS-CoV2. Entrambi hanno anche sviluppato sintomi respiratori, ma hanno continuato a vedere i clienti per 8 giorni l’uno e per 4 giorni l’altra. Il salone in cui lavoravano, però, imponeva ad operatori e clienti di indossare coperture per il viso, in conformità con l’ordinanza del governo locale. Entrambi i parrucchieri, quindi, indossavano mascherine di stoffa a doppio strato o mascherine chirurgiche, ma stavano a contatto con i loro clienti per un tempo pericolosamente lungo, tra i 15 a 45 minuti. Tutti i clienti indossavano mascherine per la maggior parte chirurgiche o fatte in casa. Tuttavia, malgrado l’esposizione significativa, nessuno dei clienti ha sviluppato sintomi di malattia. Tra i 67 clienti che si sono offerti volontari per il tampone (48%), tutti sono risultati negativi. Invece, diversi membri della famiglia di uno dei due parrucchieri hanno successivamente sviluppato i sintomi e sono risultati positivi al tampone per  SARS-CoV2 (CDC call to wear masks).

Dove sta fallendo la nostra battaglia contro SARS-CoV2 è nei controlli, e non è accettabile che politici incoscienti mettano ko l’economia di intere regioni perché non hanno la capacità di controllare che tutti si adeguino a quelle poche norme di protezione individuale che diventano anche protezione della collettività, e che ora è dimostrato quanto siano importanti nel contenimento dell’epidemia.

Certo non si può pretendere un controllo capillare, perché nessuno vuole l’esercito nelle strade, ma si può pretendere che gli esercizi commerciali, tutti, e prima di tutto bar e ristoranti, vengano responsabilizzati al controllo dei loro avventori o clienti, fino ad erogare sanzioni se questo non viene fatto. Meglio che chiudere tutto o costringere ad orari che non si capisce bene con quale evidenza dovrebbero essere meno rischiosi.

Chiudere scuole ed università senza capire che questo mette in crisi un grande indotto oltre a generare conseguenze letali sulla formazione dei cittadini meno abbienti, sull’economia familiare ed anche sulla diffusione del contagio (dove andranno tutti questi studenti? Staranno segregati in casa?), e che il problema del contagio è fuori e non dentro le aule, è miopia o, in malafede, operazione di distrazione. Il problema sono i trasporti? Non siete stati capaci di risolverlo nei mesi di tregua? Dovreste risponderne, perché quello che sta succedendo era prevedibile e, infatti, previsto. Coinvolgete i privati, stanziate quello che bisogna stanziare e triplicate il servizio di trasporto pubblico, invece di perdere tempo a piangervi addosso e cercare di svicolare dai problemi veri. Continuare a porre divieti e limitazioni non fa altro che confondere e scoraggiare le persone. Invece sono poche le cose che dovrebbero essere fatte e che non vengono fatte.

Infine, spiegate bene come stanno le cose, smettiamo di illudere la gente. La nostra vita è cambiata. Punto. Adattiamoci e cerchiamo di rendere certe cose automatiche, perchè la cosa è lunga, molto lunga. Concentriamoci sulle difese (prima tra tutte una decente medicina del territorio, che eviti l’intasamento degli ospedali con casi che possono essere seguiti a casa), mentre rimarremo comunque sotto il fuoco nemico. Siamo in guerra, ma pochi l’hanno capita e pensano che a Natale staremo tutti belli e contenti sotto l’albero.