Mi ritroverò a ripetere cose già dette e ridette, tuttavia corroborate da maggiori dati, ma con l’eguale consapevolezza che la politica andrà in direzioni diverse. Cercherò di spiegare ancora il mio punto di vista sul perché il Governo si trova a dare spazio a provvedimenti inutili e dannosi per molte categorie di lavoratori.
In questa nuova analisi, ho voluto dividere l’Italia nelle tradizionali macro-regioni in cui tutti ci riconosciamo, nord, centro e sud, per dimostrare che l’andamento del contagio del virus è molto differenziato, regione per regione, senza, peraltro, una chiara distribuzione macroregionale. Dimostrerò che questo andamento rende del tutto inutili e non informativi i numeri che vengono quotidianamente riportati dai media, e che mal corrisponde ai colori imposti dai DPCM, specie al più recente.
LA DIFFUSIONE DEL CONTAGIO
Cominciamo dal nord. Il nord che ho considerato comprende 9 enti regionali (il Trentino Alto-Adige è governato da due “Province Autonome” che ho considerato separatamente, secondo lo schema della Protezione Civile, da cui prendo i dati che analizzo). La figura sotto mostra che il contagio non sta declinando dovunque. Invertendo una tendenza consolidata durante questa pandemia, Lombardia e Piemonte sono le regioni dove si registrano declini stabilizzati del contagio nelle ultime due settimane, secondi solo a quello della Liguria che però comincia molto prima, all’inizio del mese di novembre. Altre regioni mostrano trend in discesa non ancora consolidati (P.A. Bolzano, Emilia-Romagna ed anche Val d’Aosta, i cui ultimi due giorni non sono valutabili perché presentano numeri sballati). Al contrario, Friuli Venezia-Giulia, P.A. Trento e Veneto non mostrano affatto trend in discesa consolidati e tra tutte direi che è il Veneto a preoccupare di più (ma forse non si può dire per rispetto della sacra figura di Zaia).
In modo del tutto analogo, anche al centro la situazione non si presenta omogenea. A fianco a regioni nelle quali il trend in discesa appare ormai consolidato (Toscana, Umbria ed Abbruzzo), ci sono regioni in cui questo consolidamento si potrebbe raggiungere nei prossimi giorni (Lazio) ed altre nelle quali la situazione è ancora incerta (Marche e specialmente Molise).
Nel meridione, è abbastanza evidente il consolidamento in discesa della curva di contagio in Campania, una curva che è stabile dalla prima metà di novembre. Con una tendenza alla riduzione abbastanza chiara, benché non stabile come quella campana, possiamo vedere Calabria e Sicilia, mentre evidentemente destano preoccupazione le curve di contagio di Sardegna, Basilicata e, specialmente, Puglia.
Come è evidente da questi grafici, presentare su base nazionale il rapporto tra contagiati e tamponi effettuati, per giunta su base giornaliera, non ha molto senso, perché il rapporto oscilla moltissimo tra le regioni ed all’interno delle macroaree che ho disegnato. Se proprio si volesse definire il rischio epidemico sulla base del rapporto riportato nelle figure (ricordando che è ottenuto da medie mobili e non calcolato su dati giornalieri), allora si dovrebbe dire che le regioni che presentano un trend chiaramente favorevole sono solo Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria, Abbruzzo, e Campania, mentre una sorveglianza stretta dovrebbe essere mantenuta su tutte le altre, ed in particolar modo su Veneto, P.A. Trento, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Puglia, Basilicata e Sardegna, regioni in cui l’epidemia non da chiari segni di rallentamento. Se si volesse mantenere la suddivisione in colori, allora le prime dovrebbero essere collocate in zona gialla e le ultime in zona rossa, con le altre sei in zona arancione a differenza di quanto è stato fatto come mostrato dai pallini colorati in figura.
Come si vede soltanto in due regioni la classificazione proposta dal Governo corrisponde al reale andamento del contagio nelle regioni. L’attribuzione di rischio effettuata dovrebbe essere spiegata, perché i cittadini hanno diritto di sapere come stanno le cose.
Naturalmente non è detto che i miei calcoli siano corretti. Sono calcoli desunti dai numeri che quotidianamente e, bisogna dire, disciplinatamente, la Protezione Civile mette a disposizione. Quindi ci sono solo tre possibilità: 1) che i numeri siano esatti e che i miei calcoli siano corretti; 2) che i numeri, in alcune regioni, se non in tutte, non siano puliti e che il controllo sia fatto con i piedi e che quindi i miei calcoli siano sbagliati perché i dati matrice lo sono (da questo punto di vista è molto sospetta la curva epidemica valdostana); 3) che i numeri siano esatti e che i miei calcoli siano sbagliati. A questo si aggiunga che esiste un bias non pesabile perché i criteri con cui vengono effettuati i tamponi variano da regione e regione e potrebbero variare anche all’interno della stessa regione, pur se nell’ambito di un periodo di tempo così ristretto (gli ultimi due mesi).
Il mio ragionamento va avanti sulla base della possibilità 1).
LA CURVA DI LETALITA’ GIORNALIERA
In modo del tutto analogo a quanto visto sopra, possiamo vedere il comportamento delle curve di letalità giornaliere. Anche in questo caso ci sono differenze macroscopiche.
Come si vede, la Lombardia inflaziona il grafico ed impone una scala molto grande. Per questo, i grafici del centro e del meridione sembrano schiacciati, ma fanno apprezzare l’impressionante differenza di letalità tra le macroaree. Per migliorare la comprensione dei trend del centro e del meridione, si può osservare in alto a destra anche un’amplificazione del periodo di tempo che va dal 3 novembre (data del penultimo DPCM) ad oggi. Mentre nella macroarea del nord non si apprezzano tendenze alla riduzione di letalità nemmeno nelle regioni a più elevata letalità, nell’Italia centro meridionale questa tendenza è chiara, benché non possa essere considerata ancora consolidata, nelle regioni che hanno manifestato i tassi di letalità più elevati.
EFFICACIA DEI PROVVEDIMENTI
Quanto la riduzione delle curve epidemiche desunte dal rapporto tra medie mobili dei tamponi processati e contagi individuati nell’arco dei precedenti 7 giorni sia, dove si sta verificando, conseguenza dei provvedimenti presi il 3 novembre è tutto da dimostrare, perché in alcuni casi (quelli più chiari tra l’altro) il trend in discesa è cominciato proprio a ridosso del provvedimento (si vedano le curve di Liguria, Umbria e Campania). In altri casi i rapporti temporali suggeriscono che qualche efficacia i provvedimenti l’abbiano avuta. Fanno testo Lombardia e Piemonte, i cui trend in discesa cominciano con un ritardo che rende possibile (specie per la Lombardia) un effetto diretto del DPCM del 3 novembre. Tutto indica quanto differenziati avrebbero dovuto essere i provvedimenti
Purtroppo, il Governo continua su questa strada dei colori desunti sulla base della valutazione dei famosi 21 parametri, lavorato ai fianchi da uno strapotere regionale che avrebbe dovuto essere calmierato se non soppresso completamente. L’incapacità di esercitare controlli adeguati ed applicare sanzioni severe nei confronti dei contravventori, gli errori nell’identificazione delle potenziali fonti di contagio di massa (si pensi al sacrificio inspiegabile delle attività degli esercizi collocati nei centri cittadini a fronte dell’apertura, pur condizionata, dei centri commerciali), il martellante ed incosciente piagnisteo di corporazioni a cui i ristori non basteranno mai perché vengono ovviamente commisurati alle dichiarazioni dei redditi (e non voglio aggiungere altro), hanno portato ad una inutile stretta sulle attività commerciali che sta producendo un’altra inevitabile ondata di sussidi assistenziali. È un loop dal quale si rischia di non uscire.
La soluzione a questa crisi non era e non è la chiusura, di nuovo, di scuole ed esercizi commerciali, né la limitazione delle libertà di tutti, anche di quelli che rispettano le regole del viver comune. C’era:
1. da potenziare subito il trasporto pubblico, salvando le aziende turistiche che hanno dovuto mettere in cassa integrazione i dipendenti (commissariando gli enti locali che non fossero capaci di farlo), lasciando aperte le scuole, come hanno fatto in tutta Europa,
2. da mettere a lavorare come si deve le forze dell’ordine, ricorrendo, dove necessario (grandi città), all’esercito nelle strade, con compiti di polizia,
3. da applicare sanzioni esemplari, fino alla chiusura, per gli esercenti che non rispettassero (o che non facessero rispettare) le regole di distanziamento, di igiene e di protezione individuale.
Questo doveva essere fatto e potrebbe ancora essere fatto.
È mia personale convinzione che a contenere l’epidemia sia sufficiente il rispetto delle regole di distanziamento sociale e di protezione individuale, che la maggior parte di noi osserva scrupolosamente, per proteggere sé stessi e gli altri. Chi non lo capisce deve essere fermato, invece di gettare il Paese nel baratro, nel tentativo di impedir loro di nuocere. Altrimenti quello che abbiamo imparato in primavera, ed ora in autunno, lasciando sul terreno migliaia di morti, sarà stato vano.
Infine, a me va bene che si possa andare in ristorante, nei locali che rispettino le regole di distanziamento sociale, igiene ed aerazione che limitino il rischio di contagio, non avrei mai sospeso queste attività, e sarei persino disposto a capire che si possa discutere dell’apertura degli impianti di risalita, ma non mi va bene però che, nel contempo, si cerchi di ostacolare ricongiungimenti familiari che per alcuni sono possibili solo durante le festività natalizie. Pur sempre salvaguardando il diritto degli altri a non essere contagiati per nostre imprudenze, il rischio individuale deve essere bilanciato con il costo emotivo di alcune rinunce, specie quando si è avanti con gli anni e non si ha più certezza del domani.
Ma su questo, più che i divieti, dovrebbe essere messa in campo una martellante campagna di sensibilizzazione, che, senza più evocare inutili aspettative messianiche (come si sta invece facendo, inculcando nelle persone la sbagliatissima idea che quando cominceremo a vaccinarci tutto sarà finito), ci abitui piuttosto alla coesistenza con il virus che, anche con il vaccino, non sarà breve.