Se le parole hanno un senso ed un significato, quelle pronunciate da Bonaccini nel suo “viaggio elettorale” in Campania (dichiarazioni virgolettate de Il Mattino del 9 gennaio 2023) ahimé sono chiarissime.
Il tema è sempre quello, critico quanto mai, dell’autonomia differenziata, tanto cara a Calderoli, Zaia, Fontana, leghisti, e, purtroppo, anche a Bonaccini, candidato a guidare il PD da segretario nazionale.
“… Non possiamo opporre un no ideologico alla bozza di Calderoli … ma intendiamo porre alcune condizioni: i livelli essenziali delle prestazioni predefiniti, una legge quadro approvata dal parlamento con regole uguali per tutti, cancellare la questione dei residui fiscali. Altrimenti, sarebbe una secessione, non autonomia”. “Non vogliamo un euro in più, ma semplificare la vita di cittadini ed imprese, azzerando la burocrazia. Vanno inoltre programmate con certezza le risorse da destinare agli interventi …”
A mio modesto avviso, quando si affrontano temi così cruciali, non è mai corretto partire da posizioni … di parziale disponibilità e (presunta!) “responsabilità”. Come diceva Keynes, se si stima di arrivare ad un compromesso, è prudente partire da posizioni estreme. Ecco il primo punto.
Secondo punto: i LEP. A parte la considerazione, che può apparire esclusivamente lessicale, ma invece è sostanziale, di utilizzare il termine in voga di “essenziale”, invece di quello più corretto, recentemente proposto da costituzionalisti e meridionalisti, di “uniforme” (la sostanza mi sembra evidente: un conto, tutto politico e non tecnico, è stabilire, magari ad un livello molto basso, cosa sia “essenziale”, altra cosa è puntare, nero su bianco, ad una uniformità di quantità e qualità di servizi per svariate materie su tutto il territorio nazionale), una volta stabiliti questi livelli … che si fa? La proposta dovrebbe essere completata con: … “e finanziamenti adeguati a raggiungere, in tutti i territori, in tutte i Comuni, in tutte le Regioni, questi livelli di quantità e qualità”. Di questo nessuno ne parla, anzi, quasi sempre si precisa “senza ulteriori oneri a carico dello Stato”. Allora, di grazia, Bonaccini ci spiega come si fa? Non è che, come Calderoli, ritiene che, definiti (ma non realizzati!) i livelli essenziali, si possa procedere? E’ una presa in giro?
Tezo punto: legge quadro. La legge quadro è una legge ordinaria, che in nessun caso, qualsiasi cosa stabilisse, può risultare “sovraordinata” a norme costituzionali, quelle che prevedono, senza specificazioni, l’attuazione di devoluzione e autonomia … E ancora: le regole uguali per tutti (e ci mancherebbe!) non devono precludere interventi significativi del Parlamento, come al contrario stabilisce la bozza Calderoli, che prevede che gli accordi per passaggio di gestione e potestà su ben 23 materie (tra cui istruzione, energia, infrastrutture, ambiente, ecc …) siano regolati da intese tra governo e regione richiedente, con la possibilità di UN PARERE NON vincolante di una commissione del Parlamento, ed un definitivo prendere o lasciare finale da parte del Parlamento stesso, che NON puo’ apportare modifiche al testo. Tale “contratto”, infine, sarebbe modificabile ESCLUSIVAMENTE con l’accordo delle parti contraenti, Stato e Regione, escludendo ancora il Parlamento. Tale accordo, infine, sarebbe comunque escluso da possibilità di referendum abrogativo … Ed è per questi motivi che il costituzionalista Massimo Villone, e tanti altri, hanno avanzato una proposta di legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare (che si può formalmente sottoscrivere a questo link; presto, in moltissime città, saranno organizzate iniziative di raccolta di firme di sostegno nelle strade e nelle piazze e/o in manifestazioni ed iniziative) che cerca di porre rimedio a questi pericoli: fissazione in Costituzione, per iscritto, delle materie, strategiche nazionali, su cui NON si può chiedere autonomia; stabilire in Costituzione fissazione e finanziamento dei Livelli Uniformi delle prestazioni; stabilire in Costituzione la restituzione di piena centralità al Parlamento che, esso solo, può approvare e modifcare gli accordi presi; possibilità, da scrivere in Costituzione, che le leggi che approvano questi accordi siano sottoponibili a referendum.
Quarto punto: le risorse. Il “non vogliamo un euro in più” è la quintessenza dell’ambiguità e della visione “nordista”, e cioè il mantenimento della spesa storica, così come avviene tutt’ora. Se, solo per fare un esempio, in questi anni a Reggio Emilia sono stati concessi finanziamenti per asili nido per 9milioni di euro l’anno (e a Reggio Calabria, un po’ PIU’ GRANDE di Reggio Emilia, solo 90mila euro l’anno), si continuerà così. Ancora, una cosa che sta particolarmente a cuore e che sembra di buon senso “politico” ed amministrativo: Bonaccini chiede la garanzia, la certezza, di poter sfruttare risorse finanziare per interventi vari, rispettando una programmazione, a esempio quinquennale. Sembra “corretto”, vero? Supponiamo che ciò avvenga, e che alla regione Emilia-Romagna venga “garantito” un preciso flusso di finanziamenti, nei 5 anni di legislatura, per interventi per edifici scolastici, controllo e sicurezza idrogeologica del territorio, interventi su strade e quant’altro. Bene. Nell’anno “x” le entrate statali per un qualsivoglia motivo sono inferiori alle attese: mentre la regione Emilia-Romagna, forte dell’accordo che le garantisce somme certe, non perderà neanche 1 euro, tutti gli altri territori vedranno decurtarsi in maniera significativa i trasferimenti ed i finanziamenti … con tanti saluti all’uguaglianza tra cittadini!
Sono solo quattro punti, quelli che ha citato Bonaccini durante la sua visita “elettorale” in Campania … bastano per far capire quanto distanti da lui siano le ragioni di coesione e solidarietà territoriale e nazionale, che invece, ma solo a parole, non si perita di sbandierare ai quattro venti in tutte le occasioni.