«A Massimilia’, te tradischeno!», titolava l'”Unità” del 15 aprile 1962. Così un bancarellaro di frutta e verdura di via Teulada, a Roma, nell’aprile 1962, dopo la trasmissione della quarta puntata de I Giacobini, metteva sull’avviso l’attore Serge Reggiani (che interpretava Maximilien de Robespierre) che era sceso a fare la spesa con la moglie (nello sceneggiato non si era ancora consumato il dramma di Robespierre, e la gente semplice “non” sapeva che cosa sarebbe successo).
Sessantuno anni fa, per la precisione domenica 11 marzo 1962, andava in onda sulla RAI la prima di sei puntate dello “sceneggiato” I Giacobini, di Federico Zardi, per la regia di Edmo Fenoglio. Un avvenimento culturale e politico “epocale”, nazionale, europeo; un impegno finanziario enorme, un vero e proprio kolossal televisivo, con scene di massa in cui recitavano anche cento comparse. Una cosa mai vista prima d’allora per la TV in Italia. E su un argomento, difficile dal punto di vista storico-culturale, e al tempo stesso “delicato”: una rivoluzione!
L'”Unità” aprì, diremmo oggi, un forum, sulla sua terza pagina, ospitando lettere, commenti, giudizi, considerazioni, di spettatori e lettori del giornale del PCI: Processo ai Giacobini; e poi lettere su lettere; una casalinga di Busto Arsizio (quella di Voghera non c’era ancora) scriveva: ” … Non è cosa di tutti i giorni accostarsi al video senza provar la nausea di un sottofondo tendenzioso e mi compiaccio di credere, per questo caso fuori di regola, che l’aria di centro-sinistra, per quanto di brezza leggera, possa aver contribuito ad incoraggiare la programmazione di una vicenda rivoluzionaria …. “. Proprio così.
Il 5 maggio di quell’anno, in un ormai famosissimo intervento su “Rinascita”, Togliatti, di fatto dando “la linea”, come si diceva, scriveva: “La trasmissione televisiva dei Giacobini può essere considerata un importante fatto della cultura nazionale. E non tanto per la qualità tecnica, che ha trovato ampi consensi, ma anche critiche non malevole, e che qui non vogliamo prendere in considerazione. Né ci interessa ora l’esame del contenuto del testo trasmesso, per scoprire gli eventuali errori d’interpretazione storica che esso possa contenere. Ciò che importa è che per alcune settimane alcuni milioni di italiani, di tutte le condizioni e di tutte le età, hanno visto e hanno avuto davanti alla mente loro una rivoluzione, sono stati tratti a pensarla e giudicarla concretamente, come conflitto politico, sociale e umano, a discuterne, a parteggiare. E si trattava, poi, della Rivoluzione francese”.
E ancora. “L’importante, però, è l’interesse nuovo suscitato, e quindi il dibattito e la ricerca, volti alla comprensione di ciò che veramente è stata la grande Rivoluzione francese e di che cosa è, in linea generale, una rivoluzione popolare profonda, dei problemi che essa pone e che riguardano tanto le masse del popolo e i diversi gruppi sociali, quanto i partiti e gli uomini che li dirigono”.
Probabilmente questo giudizio decisamente positivo del “migliore” sancì, anni dopo, la distruzione di tutte le registrazioni, audio e video, per opera, pare, di un fin troppo solerte e sciocco funzionario RAI che pensò “bene” di far sparire un così importante documento … apprezzato dai “comunisti”.
Erano gli anni in cui la RAI aveva di fatto decretato un ostracismo nei confronti dei socialisti e soprattutto dei comunisti: solo con la Tribuna Elettorale del 1960, per la prima volta, comparve in TV il capo dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti. Ma erano anche gli anni, lo ricorda bene la casalinga di Busto Arsizio, in cui nascevano i primi governi di centro-sinistra (febbraio 1962), con i socialisti nella “stanza dei bottoni”.
Eduardo De Filippo, Enzo Biagi, Dario Fo e Franca Rame, cominciarono a comparire sul piccolo schermo.
Trasmissione epocale, dunque, sceneggiato di grande rilevanza culturale (la diffusione della cultura attraverso il medium televisivo, che stava prendendo sempre più il sopravvento nelle abitudini degli italiani è uno degli aspetti più caratterizzanti di quei tempi, non certo sempre “aperti” e progressisti), avvenimento di fatto “politico” che mosse le coscienze, il pensiero, i sentimenti, di milioni di italiani. Leggete per esempio questo frammento di dialogo tra i due protagonisti:
Robespierre: … che l’eguaglianza dei beni è una chimera. D’altronde, era forse necessaria una rivoluzione per far sapere che l’estrema sproporzione della fortuna è la fonte di molti mali e di molti delitti?”
Saint-Just: Dico anch’io che la proprietà è il principio della vita sociale, ma un patto necessariamente si dissolve quando uno possiede troppo e l’altro troppo poco.
Effettivamente, sentire frasi così, non doveva far certo piacere ai “padroni”!
Lo sceneggiato fu replicato nel 1963. Ora non ricordo bene (ero davvero piccolo!) se fosse il 1962 o il 1963 quando lo vidi (probabilmente il 1963, direi, per via dell’età; più probabilmente, però, torno a rifletterci, doveva essere il 1962, perché ricordo l’attenzione, l’attesa, e le discussioni, di papà, mamma, i miei zii, che si riunivano da noi a guardare la trasmissione; e, sia pure vagamente, ricordo l’eco che suscitarono, anche in casa, casa di “comunisti”, gli articoli su l'”Unità” e su “Rinascita”).
Per me, bambino di 7-8 anni, Robespierre diventò un eroe (proprio come per il “fruttarolo” di via Teulada) da “difendere”; e “amai” Robespierre e Serge Reggiani, attore impareggiabile, che da quel momento, in ogni sua successiva apparizione teatrale o cinematografica, fu sempre da me apprezzato; appresi per la prima volta fatti e personaggi della Rivoluzione francese; ammirai Saint-Just come il “duro e puro” teorico ma anche comandante militare, attraverso l’indimenticabile figura alta, slanciata, elegante, il viso serio e “nobile” del giovane Warner Bentivegna; e ricordo il già (un po’) più noto Alberto Lupo nei panni di Desmoulins; e addirittura Sylva Koscina (ma forse allora non sapevo chi fosse), e persino un Carlo Giuffrè nei panni di Barbaroux.
Ho voluto fermare in questa nota alcune mie considerazioni. Sulla lotta politica di tanti anni fa, che si faceva anche attraverso la cultura e “l’egemonia culturale”, e sulla TV di tanti anni fa.
Adesso abbiamo trasmissioni a premi (ce n’erano anche a quel tempo, ma, per quanto ricordo, c’erano fior di esperti e appassionati che si presentavano ai vari quiz televisivi, preparati e colti) in cui alla domanda sull’anno in cui Adolf Hitler diventa cancelliere in Germania, dinanzi alle opzioni date (1933, 1948, 1964, 1979), la prima concorrente sceglie il 1948, un altro risponde che si tratta del 1964. Il terzo afferma che l’anno è il 1979. Solo l’ultima data scelta (non ce n’erano più altre a disposizione) fu il 1933.