Il coronavirus si è abbattuto sul nostro Paese, costringendo tutto e tutti ad un radicale cambiamento delle proprie abitudini, con in primo luogo l’adozione di provvedimenti straordinari come la chiusura totale di qualsiasi attività, con obbligo per i cittadini di restare in casa se non per giustificati motivi .
Per dire le uscite fuori casa sono state possibili solo muniti di una dichiarazione di autocertificazione , una sorta di lasciapassare per camminare per strade per altro presidiate da militari in assetto di guerra: a qualcuno ha portato alla mente uno stato di polizia, tipico scenario di un paese vittima di un colpo di stato, in realtà si tratta di misure eccezionali per arginare un evento imprevedibile ed incontrollabile.
In principio, il contravvenire a queste disposizioni poteva significare anche una denunzia penale, poi ridotta ad una semplice sanzione pecuniaria, elevata dai tanti posti di blocco che per quasi due mesi hanno presidiato le strade delle nostre città.
Tutto ciò potrebbe apparire come uno stato di polizia, come una lesione di diritti costituzionalmente garantiti e per la verità qualche voce critica si è sollevata: questa volta a torto poiché nella prima fase è stato essenziale limitare il rischio di contagi e, come ribadito dalla Presidente della Consulta Marta Cartabia, l’esecutivo si è mosso sempre nel rispetto dei dettami costituzionali.
Chiaro che un evento del genere , così unico e si spera irripetibile ha avuto un riflesso anche sulle nostre istituzioni, che hanno sperimentato in molti casi un nuovo modello, con differenti forme di partecipazione da parte dei componenti, in generale con il venir meno di qualsiasi forma di assemblea.
L’aula Parlamentare, come luogo di massima espressione della vita democratica, non ha fatto eccezione al generale clima di chiusura e se non in rare occasioni soprattutto per informative del Presidente del Consiglio sulla crisi sanitaria , sia i deputati che i senatori non si sono riuniti.
Questa situazione ha destato più di una perplessità da parte più parti , soprattutto nelle opposizioni che vedevano una concentrazione di potere eccessiva nelle mani del Presidente del Consiglio Conte, accusato di agire da più parti senza aver consultato il parlamento, quindi senza un mandato .
Francamente però , pare eccessivo parlare di mancanza di democrazia , data la particolarità del momento , visto che i provvedimenti varati , erano comunque nel solco della costituzione e dei poteri attribuiti al Premier, senza dimenticare che vi sono le opportune vigilanze a tutela della democrazia nel nostro Paese.
La politica ha cercato sia pur tra mille difficoltà, di proseguire la propria attività come esattamente ognuno di noi , con collegamenti da remoto , che hanno assicurato il regolare svolgimento della vita democratica.
Una modalità che ha reso possibile di prendere decisioni politicamente rilevanti in un momento delicato, si pensi ad esempio alle riunioni a livello europeo , in cui si è cercato di decidere la strategia migliore da adottare dal punto di vista economico.
L’adozione di misure economiche adeguate , non poteva aspettare che cessasse l’emergenza sanitaria ed ha imposto una consultazione immediata ed in questo periodo sarebbe stato impensabile avere tutti gli interessati a Bruxelles : molto meglio un collegamento a distanza. Non è azzardato dire che la tecnologia abbia assicurato una prosecuzione della vita democratica delle istituzioni , consentendo il funzionamento anche in un momento in cui ciò sarebbe stato impossibile e questo vale attenzione ovviamente non solo per le istituzioni europee ma anche a livello nazionale e locale.
In un periodo così delicato , anzi diciamolo così epocale , storico , questo rappresenta una vera conquista , certo non può rappresentare in condizioni di normalità la regola , poiché sarebbe la fine delle istituzioni , ma ha piuttosto indicato un modello di supporto in grado di assicurarne il funzionamento in ogni circostanza e anche perché non di assicurare in casi particolari , comunque la presenza degli interessati.
Certo sta agli uomini delle istituzioni , non farsi travolgere dal progresso tecnologico e a non utilizzare in modo strumentale e personale le soluzioni offerte: sarebbe la fine della democrazia ma il rischio di un involuzione , va detto, è insito in ogni sistema politico.
Altro fenomeno , cresciuto in questo periodo emergenziale, è stato l’utilizzo dei social per comunicare provvedimenti come accaduto con il Presidente del Consiglio Conte che ha annunziato in diretta sul proprio profilo facebook la sera del 21 marzo ulteriori restrizioni al fine di arginare gli effetti del corona virus.
Inutile dirlo, si è trattato di uno strumento inusuale , poiché per la prima volta un premier ha annunciato al paese misure decisive e rilevanti usando i c.d. social ; di sicuro si è trattato diciamolo di un passaggio a vuoto di Giuseppe Conte questo è indiscutibile poiché vi sono altri modi per annunciare i provvedimenti dell’esecutivo che affidarsi ad un azienda privata. L’anomalia nel caso specifico , sta nel fatto che i media radio e TV si sono collegati al profilo del Presidente del Consiglio su Facebook per trasmettere un suo messaggio , laddove fino a poco fa sarebbe accaduto esattamente l’inverso, anche questo segno dei tempi.
Ovvio che non vi era alcun secondo fine , né tanto meno di mancare di rispetto a nessuno ed è indiscutibile che anche questo piccolo evento rappresenta un segno dei tempi , con cui nel futuro bisognerà fare i conti : siamo in un epoca in cui il concetto di mezzo di comunicazione sta cambiando naturale che con gli opportuni accorgimenti ci si possa esprimere tramite strumenti che non siano televisione o radio.
Diciamolo con chiarezza , quello che la sera del 21 marzo ha destato stupore non solo nel singolo cittadino ma anche e soprattutto sicuramente nelle altre istituzioni della Repubblica , tra qualche anno , sarà l’assoluta normalità , anzi la regola con cui avviare qualsiasi comunicazione.
Piuttosto la fase dell’emergenza acuta del corona virus , ha evidenziato in modo impietoso tutte le lacune della corsa ad un regionalismo esasperato , cui stiamo assistendo in Italia ormai dai primi anni 90, dall’avvento della lega di Bossi.
Le regioni , si sono viste devolvere nel corso degli anni competenze sempre più ampie , in materie essenziali su tutte la Sanità , ormai gestita fondamentalmente a livello locale; ciò ha provocato enormi disparità di trattamento dei pazienti e spiace dirlo della qualità del servizio da regione a regione, con costi che per le medesime prestazioni che possono variare da una regione all’altra senza un valido motivo.
Si è creato a livello regionale un centro di potere spesso in antagonismo con il potere centrale , con evidenti difficoltà nella gestione della cosa pubblica, difficoltà che si sono manifestate soprattutto in quest’emergenza, dove da un lato il governo assumeva provvedimenti e alcuni governatori , puntualmente prendevano decisioni opposte o si arrogavano il diritto di decidere autonomamente , senza alcun coordinamento con Roma.
Non mancano purtroppo gli esempi in ultimo dal Veneto e dalla Lombardia , che hanno chiesto di aprire ogni attività per non parlare della Calabria , dove la Presidente Santelli ha decretato l’apertura di bar e ristoranti all’aperto; immediato l’avvio di reciproche schermaglie e diffide con il Ministro Boccia. Tutto ciò è inutile nasconderlo ha provocato un rallentamento nella fase acuta della crisi, ritardando decisioni che avrebbero dovuto essere prese con velocità e cosa più importante da un soggetto unico, in un paese normale il Ministro della Salute, e non in una sorta di “ condominio” frutto della mediazione tra 20 e più teste.
Nel momento in cui venivano , varate le varie riforme in senso federale, senza un criterio e una logica , non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati al disastro attuale nei rapporti tra stato e regioni , con una sostanziale caos a livello decisionale.
Sarebbe , quindi opportuno fare tesoro delle difficoltà attuali e prevedere una riduzione dei poteri delle regioni, quanto meno in un settore delicato come la sanità , o un criterio che preveda un’unica cabina di regia a livello nazionale per le emergenze .
Non si tratta di visione antifederalista ma semplicemente di buon senso e di una gestione proficua delle risorse pubbliche. In tal modo si sarebbero evitate anche situazioni di rischio come allorquando a marzo il Premier Conte ha decretato la chiusura dell’intera regione Lombardia e il mancato dialogo ha permesso a molti di rientrare al sud, contribuendo forse alla diffusione del virus nelle proprie zone d’origine.
L’Italia sta quindi attraversando un momento delicato per l’emergenza corona virus, in cui anche i suoi vertici , le sue istituzioni sono stati messi a dura prova.
E’ chiaro la democrazia non è mai stata in pericolo nel nostro paese, anzi ha sperimentato nuove forme di partecipazione ma altrettanto incontestabile come questa pandemia , ci abbia mostrato come vi siano tante aspetti della vita istituzionale che possono essere rivisti.
Ignorare ciò, significherebbe arrecare ulteriori danni in primo luogo ai cittadini, che hanno pagato un prezzo già altissimo in questo momento.